Ricostruire un rapporto tra le generazioni


Nel post di apertura di questo blog (Ma a me chi ci pensa?) avevamo denunciato il fatto che oltre 2 milioni di giovani italiani tra i quindici e ventinove anni non lavorano, non studiano, non hanno formazione. Avevamo sottolineato come, invece, la scuola sia fondamentale per ogni ragazzo e per la stessa nostra democrazia. Che proprio nella scuola è possibile costruire una cittadinanza più consapevole, più inclusiva, più rispettosa delle diversità. La cultura è uno strumento fondamentale, ma deve sapersi calare nelle menti e nei cuori di ogni ragazzo, qualsiasi problema egli abbia. Come dice Lodoli in un'articolo su La Repubblica: "La cultura è il tentativo di dare una forma e un ordine al caos". Ma la cultura di cui si parla deve saper rapportarsi e saper dialogare con i ragazzi di oggi senza demonizzali. Per Lodoli, infatti, "si tratta di ricostruire un rapporto tra le generazioni. La maggior parte degli insegnanti (e a noi sembra l’opinione pubblica in generale) pensa che gli studenti siano dei decerebrati volgari e ignoranti, e la maggior parte degli studenti pensa che gli insegnanti siano dei vecchi amareggiati e inutili…"., - continua Lodoli in modo ironico - non tristi pappagalli spennacchiati che ripetono la stessa lezione da trent'anni. Insomma, la scuola deve tornare a essere un luogo dove pulsano l'intelligenza e la curiosità, non può ridursi a un ospizio di nonni malinconici che provano invano a tenere a bada torme di nipotini urlanti". (…) "nella scuola gli adulti e i ragazzi hanno ancora tanto da scambiarsi, da regalarsi, tanto da discutere e litigare".
Ma voler aiutare i ragazzi a pensare, a mettere ordine nel loro caos, vuol dire essere insegnanti attenti alle loro difficoltà e diversità, essere in continua ricerca, disponibili ad affrontare sfide anche complesse e difficili, nella consapevolezza che una scuola veramente democratica, debba attivare e ricercare ogni risorsa per tirar fuori anche quei ragazzi che sembrano caduti in un pantano da cui non riescono da soli a venir fuori.
Come dice Pennac dobbiamo guardarci bene dal "sottovalutare l’unica cosa sulla quale possiamo agire personalmente e che risale alla notte dei tempi pedagogici: la solitudine e il senso di vergogna del ragazzo che non capisce, perso in un mondo in cui gli altri capiscono.
Solo noi possiamo tirarlo fuori da quella prigione, formati o meno per farlo.
Gli insegnanti che mi hanno salvato - e che hanno fatto di me un insegnante- non erano formati per questo. Non si sono preoccupati delle origini della mia infermità scolastica. Non hanno perso tempo a cercare le cause e tanto meno a farmi la predica. Erano adulti di fronte ad adolescenti in pericolo. Hanno capito che occorreva agire tempestivamente. Si sono buttati. Non ce l’hanno fatta. Si sono buttati di nuovo, giorno dopo giorno, ancora e ancora… Alla fine mi hanno tirato fuori. E molti altri con me. Ci hanno letteralmente ripescati. Dobbiamo loro la vita"..

Il titolo dell'articolo di Lodoli è "Basta con la scuola del cuore ricominciamo a far pensare" A noi sembra di poter dire, partendo dalla nostra esperienza, che non serve mettere in contrapposizione "cuore" e "intelligenza", essi devono imparare a camminare insieme in un continuo e salutare scambio, l’uno al servizio dell’altra, i bambini, i ragazzi non possono essere "bicefali", non possono entrare a scuola lasciando fuori dalla porta la loro affettività, il loro vissuto, la loro storia ed entrare solo con la loro intelligenza.
La foto è tratta dal film La classe