A me adesso chi ci pensa?

Alla fine di un anno scolastico, durante la festa di fine anno della scuola media, i ragazzi si scambiano indirizzi, foto, email. Daniel se ne sta appartato e, pur essendo un ragazzo a cui piace stare in mezzo agli altri, tace e si guarda intorno smarrito. Se qualcuno lo sollecita a partecipare, caccia tutti in malo modo. Noto il suo sguardo triste e gli vado vicino. Cosa ti preoccupa, gli chiedo. La prima risposta è “niente, niente”, insisto e allora si apre: “E’ che la scuola sta per finire. Fino ad oggi c’era lei che mi seguiva, adesso chi pensa a me?”
Tutti i bambini, tutti i ragazzi, anche quelli più difficili, con una storia alle spalle  problematica, entrando a scuola dovrebbero sentire che quel posto è un posto speciale. Anche chi si sente a volte triste, arrabbiato, solo, senza spesso neanche capire fino in fondo perché, trova un luogo caldo e persone disponibili ad ascoltarlo, ad ascoltare non solo quello che sa, ma anche quello che sente
Capisco che Daniel, se nel nuovo anno nessuno lo accosterà e saprà cercare con lui un percorso, diventerà uno di quei ragazzi di cui parlano ultimamente i dati Istat.
Questi dati (rapporto del 2011) ci raccontano che oltre 2 milioni di giovani italiani tra i quindici e ventinove anni non lavorano, non studiano, non hanno formazione.
Il 18, 8% abbandona gli studi subito dopo gli anni dell’obbligo e a vent’anni, quando si entra nell’età adulta, si ritrova sperduta senza nulla in mano.
Un dato questo che in un anno è salito di 130 mila unità. Questo ci dice che la situazione non sta migliorando, ma peggiorando.
Tanti di questi ragazzi hanno “tolto il disturbo” perché non sentivano la scuola come un luogo che avesse qualcosa anche per loro, la percepivano come inutile, faticosa, noiosa, staccata dalla realtà.
Va bene così? Può uno stato democratico abbandonare a se stessi tanti giovani?
Tempi bui allora per la scuola, e per tanti giovani, ma Hanna Arendt  riteneva che “l’oscurità della mente fosse la più chiara indicazione del bisogno e della necessità di esaminare daccapo le cose, di esaminare daccapo il significato della responsabilità umana e del giudizio umano”.
Crediamo che sia oggi veramente importante “ripensare la scuola” partendo da una stella polare che ci deve dare l’orizzonte e la guida: costruire una società democratica, far diventare la democrazia il fondamento di ogni ragionamento  pedagogico.
E’ forse un compito difficile. Ma questa stella polare può forse non solo suggerire strade per recuperare chi è fuori, ma anche migliorare il modo di stare “dentro” la scuola.
Di questo dobbiamo parlare non solo come insegnanti, studenti, genitori, ma come cittadini che vogliono costruire davvero una società democratica. Perché la democrazia prenda forma deve legarsi alla vita di tutti i giorni, deve guidare il nostro pensiero e le nostre azioni e deve dimostrare che produce vantaggi.
Secondo Zagrebelsky, “la democrazia è sempre a rischio”, per questo ognuno deve essere capace di “assumere nella propria condotta la democrazia come ideale, come virtù da onorare e tradurre in pratica”. Una pratica che, secondo lo studioso, deve svilupparsi “a partire proprio dalle istituzioni scolastiche oggi carenti sotto questo aspetto, poiché improntate all’astrattezza dell’apprendimento che genera distacco e disillusione verso il mondo, produce rinuncia e disprezzo e invita all’individualismo chiuso in se stesso”.
La scuola non deve diventare come dice Bobbio “una promessa non mantenuta” della democrazia.
Su queste tematiche vogliamo
                             raccontare esperienze, avviare riflessioni, fare proposte
La scuola è un luogo importante che merita tutta la nostra attenzione e il nostro pensiero creativo. Dobbiamo avere il coraggio, però, di ripensarla insieme.

L'illustrazione è di Jean Geoffroy