In fondo volevamo solo un marciapiede (parte terza)
Finita
la scuola mi sono sentita improvvisamente con tanto tempo a disposizione. In
casa ero libera, mi sentivo bene, ma non
facevo niente ed io avevo una grande voglia di impegnarmi in qualcosa. Ero
ormai in grado affrontare il “fuori” perché la scuola mi aveva abituata agli
altri; l’istruzione mi aveva resa più forte, capace di esprimere e far valere
il mio punto di vista.
Così ho cominciato a frequentare una
cooperativa sociale, Arteinsieme, che
era sorta nel paese, con la collaborazione di tanti volontari. E’ stato
l’inizio del mio impegno sociale. Questa cooperativa si occupava di ragazzi
disabili, per i quali aveva creato un centro diurno, si preoccupava di creare
situazioni e progetti di lavoro sia per
disabili sia per persone disagiate. Successivamente ha cominciato a collaborare
anche con le scuole.
La
cooperativa e i suoi volontari (alcuni ancora oggi miei grandi amici) l’avevo
scoperta nel periodo della mia crisi esistenziale e mi ha aiutato moltissimo a
rapportarmi con i miei coetanei, con gli altri disabili e ad uscire da casa per
i campi estivi al mare o ha passeggio e
in seguito questa cooperativa, quando frequentavo le magistrali,mi ha mandato
a casa una persona per aiutarmi nei compiti.
Era
stata proprio la responsabile della cooperativa ad andare a parlare con
l’insegnante di italiano quando io volevo abbandonare la scuola; era stata lei
a suggerire l’idea di chiamarmi e di propormi un programma individualizzato.
Soffriva molto per questo mio abbandono e si è data da fare.
Così
in questo periodo mi sono impegnata a tempo pieno nella cooperativa e per
alcuni anni ho fatto anche parte del consiglio amministrativo. Ero
riconoscente alla cooperativa perché mi aveva tirata fuori di casa; era per me
un riferimento, che mi aveva permesso di
stringere amicizie importanti, di cominciare ad andare in vacanza. La responsabile mi ha
proposto di fare un progetto per lavorare in biblioteca, dove infatti ho
lavorato per 6 mesi: io dovevo catalogare i libri, ma ero sempre a contatto con
la gente e questo mi piaceva molto: sentivo di essere utile e di essere capace.
Per
uscire di casa però ero in difficoltà. Abito infatti in periferia e per andare
in paese bisogna attraversare un pezzo di Appia senza alcun marciapiede. Dovevo
camminare con la carrozzina su una strada piuttosto stretta dove le macchine
corrono perché sono ancora fuori paese. Mia madre non voleva che andassi da sola
perché era preoccupata. Così in genere uscivo accompagnata da qualche nipote o
da una signora che conoscevo. Da sola mai.
Non sempre però c’era qualcuno disponibile ad accompagnarmi; man mano
che crescevano i nipoti avevano i loro impegni e i loro interessi e quindi o
non potevano o non volevano.
Io
non volevo assolutamente rinunciare ad uscire. La mia infanzia e adolescenza le
avevo trascorse in casa e, ora che avevo finito la scuola, non volevo tornare a
quel tipo di vita. Sentivo il bisogno di autonomia e il desiderio di incontrare
persone.
Così
ho cominciato a imbrogliare mia madre. Le dicevo che andavo con una signora che
conoscevo o con una mia nipote. Invece
andavo in giro da sola.
Facevo
piccoli giri, tornavo in fretta. Le mie sorelle lo sapevano e mi appoggiavano.
Con questo sostegno mi sentivo più tranquilla.
Dopo un po’ di tempo ho detto a mia madre che
andavo da sola. Lei voleva proteggermi perché questo è un posto molto pericoloso, dove nel passato sono
avvenuti incidenti anche gravi. Piano piano, però, ha cominciato ad avere
fiducia e ha provato grande soddisfazione quando un giorno lei stessa mi ha
mandata a prendere le medicine in farmacia.
Io
non avvertivo il pericolo della strada che dovevo percorrere, ma tutti mi
dicevano che c’era pericolo, così io camminavo nella cunetta e non
sull’asfalto. Non ero l’unica ad avere questo problema perché negli anni questa
periferia, un tempo disabitata, ha cominciato a popolarsi di bambini ma anche
di persone anziane. Nessuno però andava a piedi proprio perché pericoloso. Non
si vedeva una carrozzina con un bambino , non si vedevano persone anziane camminare da sole. I bambini
erano accompagnati a scuola o in parrocchia o altrove in macchina non solo per la distanza ma anche
per il pericolo.
Così
è nato un comitato della zona formato da me, da un insegnante attiva e
altre persone che si aggregavano soprattutto quando bisognava andare in comune.
Nel
2002 abbiamo raccolto 160 firme con la richiesta al comune di fare
un marciapiede
Io
ho portato personalmente questa
richiesta in comune e l’ho fatta protocollare. In precedenza ero già andata a
parlare con sindaco e assessore; questi mi dicevano che si poteva fare e che l’avrebbero
fatto. Ma il tempo passava e nulla
cambiava. Il problema era antico, era nato dal momento in cui la zona aveva
cominciato a popolarsi. La questione però era sempre stata trascurata dalle
autorità.
Dal
2002 il marciapiede è stato realizzato
nel 2011.
Ci
sono stati tantissimi incontri in comune. Abbiamo fatto tante proteste.
Nel
2004 abbiamo preparato dei cartelloni con frasi e foto che indicavano la
pericolosità della strada e li abbiamo collocati in punti strategici del paese
per informare la cittadinanza e avere quindi sostegno. Sono stati pubblicati diversi articoli sui
giornali, sempre per coinvolgere l’opinione pubblica e fare pressione sulle
autorità. Sindaco ed assessore
dimostravano sempre la loro disponibilità a risolvere il problema ed avevano
anche stanziato dei soldi, ma facevano presente le difficoltà: non c’erano spazi laterali alla carreggiata e la competenza per la strada in parte non era
del Comune ma dell’Anas, (che in realtà, ho scoperto dopo, non avrebbe avuto
problemi a dare l’autorizzazione). Il vero problema era che i proprietari dei
poderi adiacenti alla strada dovevano cedere una porzione di terreno, una
sciocchezza, poco più di un metro, ma uno dei proprietari non era disponibile a
cedere. Ad un certo punto i responsabili mi hanno detto che volevano risolvere
il problema diversamente, ricoprendo un fossato. In quelli anni però, in
seguito ad una catastrofe provocata proprio da un fossato coperto che non aveva
lasciato defluire le acque piovane, era
stata fatta una legge per cui non si potevano coprire i fossati. Perciò
questa proposta fatta per aggirare gli ostacoli esistenti, è caduta nel vuoto.
Nel
2005 ho anche parlato con Marrazzo, allora presidente della Regione Lazio, venuto in paese per altri problemi . Lui ha
preso le carte e ha detto che le avrebbe lette. Se le è portate, ma non è successo niente.
La
verità era che c’erano degli interessi di una piccola azienda ed altre persone
che non volevano che il marciapiede passasse davanti al loro ingresso e quindi
facevano opposizione e non volevano cedere il terreno necessario
Io
ero molto scocciata. Andavo in comune
anche da sola; a volte persone non della zona che lo sapevano venivano con me.
I
vari sindaci sono stati sempre a scaricare il problema: non ci volevano tanti
soldi, ma accusavano l’azienda.
Nessuno voleva prendersi la responsabilità.
Quando
c’erano le elezioni mi davano l’ok. Così non potevo parlare, non potevo
denunciare; peccato, perché ero diventata coraggiosa e bravina a parlare.
Mi
facevo prendere in giro ma ne ero consapevole. Sapevo che non dovevo mollare e
dovevo andare avanti.
Alcune
persone, in particolare l’insegnante che era con me nel comitato mi
incoraggiava.
Non
sopportavo la falsità.
Quando
andavo in comune mi dicevano cose che non risultavano vere. Facevano progetti e
tutto si fermava lì, Secondo me, alcuni
politici semplicemente non volevano mettersi contro i proprietari dell’azienda.
E pensare che frequentavo una delle
proprietarie perché eravamo nel
consiglio pastorale. Sono andata personalmente a parlare con lei visto che ci
conoscevamo e ci trovavamo insieme ai
convegni. Sono andata per non essere orgogliosa. E’ riuscita ad umiliarmi, mi
ha trattata così male che, quando sono
uscita, non riuscivo neanche a guidare la carrozzina elettrica. Mi ha
addirittura accusata di voler far fallire la fabbrica, con le mie pretese. All’
inizio ho pensato che avesse ragione. In
realtà avevo detto qualche parola in più e lei era diventata aggressiva.
Ho
scritto al parroco per riferirgli quello
che avevo guadagnato da quell’incontro. In quel periodo infatti ero molto
impegnata in parrocchia ed ero anche segretaria della parrocchia. Mi è costato
scoprire diverse delle persone che pensavo di conoscere. Mi sono sentita
ferita, colpita dietro.
La
situazione si è sbloccata solo quando nell’azienda è cambiata la gestione .
Finalmente
il marciapiede si è realizzato.
Secondo alcuni, il marciapiede è piccolo, ma l’importante è la sicurezza.
Ci
sono tanti bambini in zona e io lo volevo
per loro, non solo per me;in fondo io mi ero abituata a passare nella cunetta.
Ora
ho capito il pericolo della strada e il
vantaggio di questo marciapiede . Non sarei mai rimasta fuori fino a tardi; con
il buio le macchine non mi avrebbero vista. Ora vedo anziani, bambini che vanno con la bici. Il
vantaggio è visibile e non è solo per me, ma per tutti gli abitanti della zona.
Quando
giro per il paese vedo marciapiedi bellissimi in posti dove non c’è molta
utilità perché non ci va molta gente. Purtroppo dove abita la gente importante le cose si fanno, gli
ostacolisti superano.
Questa
vicenda mi ha insegnato che nessuno si fa carico di quello che non lo tocca. La
gente è incostante.
Quando
la gente ha visto i lavori ha cominciato a dire che bisognava metterci una targhetta con il mio nome. In comune ormai
tutti dicevano “ per il tuo marciapiede”, io dicevo che non era solo per me, ma
per tutti gli abitanti. Io insistevo tanto perché lo vedevo così, per tutti, me
compresa.
Ora guardando indietro nella mia vita mi rendo conto
che nulla mi è stato dato con facilità anche se era un mio diritto. Tutto mi è
costato molta fatica. Io stessa ho acquisito solo nel tempo la consapevolezza
dei miei diritti di persona.
Quando ho compiuto 21 anni, ad esempio, avrei
avuto diritto alla pensione. Erano passati due anni e ancora non ricevevo
nulla. Io volevo avere un minimo di autonomia economica perché non osavo chiedere
nulla ai genitori che lavoravano tanto per mantenere la mia numerosa famiglia.
Volevo anche solo poter spedire delle lettere alle mie amiche o potermi
comprare qualcosa. Così ho scritto al Presidente Pertini. Il presidente mi ha
risposto subito dicendo che mi avrebbero chiamata per la visita medica. In
effetti così è stato: sono stata subito dopo chiamata per la visita e mi hanno
assegnata la pensione.
La fatica che ho dovuto fare senza dubbio mi
ha aiutata a maturare , a diventare più forte, ad imparare ad affrontare le
situazioni. Non dovrebbe però essere così. Invece di maturare avrei potuto
soccombere, avrei potuto ritirarmi nelle mura protettive della mia casa e della
mia famiglia.
Per mia fortuna non è
stato così
Angela Capirchio