Ho cominciato tutto molto tardi (parte seconda)
La
casa in cui sono nata era nel centro storico del paese, priva di strada
carrozzabile; per me, disabile, non era quindi
possibile uscire con una carrozzina. Mio padre non l’aveva neanche chiesta
perché tanto non avrei potuta usarla. Così ho vissuto l’infanzia e
l’adolescenza in casa, senza poter
frequentare la scuola e senza potere mai andare da nessuna parte. Poi i miei
genitori, che avevano della terra nella periferia del paese, hanno pensato di
costruire una casa per me agibile. Ci siamo trasferiti nel 79, quando io avevo 17 anni.
Allora
mio padre ha fatto domanda per avere una carrozzina normale, ma per alcuni
anni non l’ho usata molto; la mia vita
si era svolta all’interno delle mura domestiche e mi era difficile aprirmi al
mondo. Questo è avvenuto più tardi.
Ancora più tardi sono riuscita ad avere una carrozzina elettrica, dopo una dura
e lunga battaglia.
Appena
sono entrati in commercio i televisori i miei genitori hanno fatto sacrifici e ne
hanno comprato uno quando ancora erano pochi a poterselo permettere. Lo avevano
comprato per me non solo perché potessi seguire dei programmi, ma anche per
farmi stare con gli altri. Le case in cui c’era un televisore, infatti,
diventava luogo di incontri dei bambini e dei grandi del quartiere e così
anch’io potevo avere momenti di aggregazione. Mia madre era molto orgogliosa di
vedere che i sacrifici per comprarlo servivano a farmi vivere un po’ come e con
gli altri. Io ho cominciato ad appassionarmi allo sport proprio attraverso il
televisore e lo seguivo ogni domenica.
Fino
a 30 anni non ho frequentato alcuna scuola. Sembrava scontato per tutti che io
non potessi andarci.
Avevo
imparato a leggere da sola guardando i
fotoromanzi. Mi piaceva particolarmente Franco Gasparri e per seguire lui ho
cominciato a riconoscere le lettere. Per un breve
periodo era venuto un volontario, per
insegnarmi almeno a leggere, ma spesso mi nascondevo per la timidezza: cosi lui
rinunciò al suo buon proposito.
Anche
se non avevo frequentato la scuola, avevo però preso la licenza elementare. Mia
sorella più piccola di me di tre anni frequentava le elementari ed io la
guardavo con curiosità mentre svolgeva i suoi compiti per casa. Ho sempre
desiderato imparare delle cose ed ero molto interessata soprattutto
all’italiano. Così ho cominciato spontaneamente a fare gli stessi compiti
assegnati a mia sorella per casa. Il suo maestro era informato del mio lavoro ed era
d’accordo, così quando finivo il quaderno glielo mandavo; lui lo correggeva e mi dava una valutazione.
Alla fine ho sostenuto gli esami in casa. Era venuto il maestro di mia
sorella con altri insegnanti ed io avevo cosi preso la licenza. All’epoca io
ero molto timida perché non ero abituata a parlare con persone al di fuori
della famiglia e del vicinato, perciò riuscire ad affrontare e superare quest’esame
era stato per me un vero successo. Ho cominciato ad avere un po’ di fiducia in
me stessa
Avevo
la licenza elementare ma non avevo mai ascoltato delle lezioni, mai partecipato
ad un lavoro di classe, perciò non ero ancora molto brava e soprattutto avevo
il grande desiderio di imparare a scrivere. Il maestro mi ha proposto di frequentare
le medie, ma io abitavo ancora nella parte storica del paese e questo non era
possibile.
Nessuna
istituzione si è fatta presente, si è preoccupata di trovare un modo per
superare gli ostacoli che mi impedivano di usufruire del diritto
all’istruzione. Eppure fin dal 71
le persone disabili erano state
accolte nella scuola comune e, dal 77, erano anche previsti un insegnante di
sostegno e un programma individualizzato. Con la scusa che la mia casa non era
agibile per macchine e carrozzine, io sono stata dimenticata. Io non ho chiesto
nulla, non ero ancora consapevole dei miei diritti e non ero pronta a far
presenti le mie esigenze; neanche i miei genitori si erano preoccupati di
informarsi su quali fossero i miei diritti; erano persone di origini umili, a
loro volta con poca istruzione,
lavoravano molto, si preoccupavano di far stare bene noi figli e non si
ponevano altre domande. Erano abituati a farsi carico di tutto e non si
aspettavano nulla dalle istituzioni. Progettavano di costruire, appena
possibile, una casa adatta a me, una casa senza barriere che mi avrebbe
permesso di vivere
Così
io ho imparato ad arrangiarmi e a fare da sola.
Mi
piaceva tenere un diario, così, finite le elementari, ho cominciato a scriverne
uno. Da allora ho sempre scritto un
diario fino alla nascita di mio nipote 11 anni fa.
Ad
un certo punto della mia vita, quando avevo già cambiato casa, sono andata in
crisi; non ero contenta di come stavo vivendo, volevo fare qualcosa per vivere bene perché
non mi interessava semplicemente sopravvivere.
Qualcuno
mi aveva parlato dei corsi serali per prendere la licenza media che si tenevano
in un paese vicino dove insegnava un professore amico di mia sorella e mio
cognato. Io allora non lo conoscevo. C’era il problema del trasporto e lui si è
offerto di accompagnarmi, visto che lui
doveva andarci. E’ stata per me una persona speciale, ha cambiato la mia vita.
Anche il viaggio era un momento molto bello.
Così
ho sostenuto l’esame di licenza media solo nel 92, quando avevo 30 anni.
L’esperienza
dei corsi per lavoratori è stata per me molto significativa e mi ha fatto
maturare molto.
A
scuola c’erano persone di tutte le età, da diciottenni a sessantenni con
esperienze diverse. Il corso serale è molto pratico, non ti sentivi umiliato se
non sapevi fare qualcosa. Io ero brava in tante cose e non mi sentivo diversa.
Non c’era tanto da studiare. Ci sentivamo tutti ignoranti perché facevamo la
scuola dei lavoratori. Un giorno il professore ci ha portati a un convegno
tenuto nello stesso istituto: parlavano i responsabili regionali per
l’istruzione e abbiamo notato che alcuni relatori facevano grossi errori grammaticali nel parlare; siamo rimasti
meravigliati e nello stesso tempo ci siamo incoraggiati. Se loro che avevano
studiato e avevano delle responsabilità parlavano male anche noi che
frequentavamo solo un corso per lavoratori potevamo sbagliare senza sentirci da
meno.
Alla
fine abbiamo fatto un esame con testo e interrogazione. Siamo stati aiutati ed
è andato tutto bene.
Finito
il corso serale di un anno, il professore, a mia insaputa, ha detto a mia sorella
che potevo andare alle superiori, l’istituto magistrale, che era in un altro edificio
del corso serale che avevo frequentato. Io vedevo tutto un problema, ma ne avevo
un grande desiderio. Così ci sono andata nonostante il parere contrario dei
miei genitori. Loro temevano che non ce
l’avrei fatta ad affrontare tutti i problemi , volevano proteggermi.
Io
sapevo che avrei incontrato non poche difficoltà. Ero consapevole di non avere
delle basi solide per affrontare le superiori; inoltre avevo timore di non
trovarmi bene, di non essere accolta. La scuola superiore, infatti, non era
abituata e non era preparata ad avere studenti disabili. Se non lo si conosce
il disabile spaventa. Le persone non sanno come comportarsi con un disabile e
si preferisce evitare l’incontro. Il dirigente, infatti, aveva provato a
scoraggiarmi e a mettere delle difficoltà, ma poi queste si sono superate. Da
parte mia cercavo di non creare problemi, di non avere bisogno di aiuto. Quando
poi ho cominciato a stabilire rapporti con le compagne e, se avevo bisogno, mi
facevo aiutare da qualche amica.
L’insegnante
di italiano e latino mi piaceva, non era fiscale e concepiva la scuola come
luogo di vita, come luogo in cui maturare. Negli anni si è creato con lei un
rapporto personale bellissimo e ancora
oggi ogni tanto viene a trovarmi. Quando entrava in classe al mattino prima si
affrontavano le problematiche della classe poi si faceva lezione. Lei mi ha
dato tanto, mi ha valorizzata molto. Ricordo che mi chiedeva di leggere i miei tema a
alta voce, ma appena cominciavo subito me lo prendeva (altrimenti lo “rovinavo”
diceva lei) e lo faceva lei, lo usava come modello per far io non volevo
leggere il tema, cominciavo poi lei me lo prendeva e lo leggeva ad alta voce, lo usava come modello per far
capire alla classe come articolare un testo e non andare fuori argomento.
Con
i compagni, a parte l’imbarazzo iniziale, ho vissuto un’esperienza bella. Io
avevo il doppio della loro età perciò i miei interessi erano diversi. Tutta la
mia storia era stata diversa. I loro discorsi mi incuriosivano, sentivo che a
volte dicevano sciocchezze, che parlavano di ragazzi, che si facevano scherzi.
Mi sarebbe venuto spontaneo fare la grande, fare delle prediche sui loro
comportamenti, invece mi adeguavo ai loro discorsi, stavo al gioco; ora so che
in questo modo recuperavo un’adolescenza
che non avevo vissuto.
Il
terzo anno è stato il più duro, dicono infatti che sia il più difficile. A Dicembre
sono andata in crisi . Non facevo altro
che studiare. Avevo tante difficoltà, ad esempio dovevo fare il latino senza sapere bene la grammatica
italiana. Perciò dopo Natale non volevo più tornare. I miei insegnanti sono
stati molto bravi e mi hanno chiamata. Mi hanno detto che si poteva fare un
programma specifico per me. In questo modo mi hanno incoraggiata a riprendere.
In realtà mi sono poi accorta che facevo
le stesse cose degli altri, ma mi sentivo sostenuta e incoraggiata a non
mollare.
Andavo
a scuola con un trasporto privato pagato in parte dal comune. Nella scuola mi
muovevo grazie alla carrozzina elettrica che lasciavo fissa lì. E’ allora che
ho cominciato ad usarla: prima l’avevo ma non la usavo perché non ne avevo
modo.
Così
ho frequentato per cinque anni , compreso l’anno integrativo e mi sono
diplomata. E’ stato un impegno molto grande per me che non avevo molte basi. Mi
è costata molta fatica, ma mi ha fatta crescere molto e mi ha resa anche più
espansiva e aperta.
Ora
seguo nei compiti una ragazzina che frequenta le elementari e ne sono molto
contenta. Mi fa piacere sentirmi utile ed avere qualcosa da dare. Alla mia allieva
cerco di comunicare il senso delle cose, il senso della vita più che le regole
grammaticali, anche se sono importanti pure quelle. Questo per me è il valore
della scuola. Deve attraversare la vita e non esserne separata.
Finite
le magistrali il professore che avevo avuto alle medie mi ha detto che era ora
di andare all’università. Era possibile farla on line. Io ero piuttosto stanca
per i cinque anni di studio intenso e non sapevo ancora usare il computer,
perciò ho messo da parte l’idea.
Inoltre avvertivo che per me era ora di
entrare nella vita concreta. Ero vissuta sempre in casa e gli ultimi anni sui
libri, volevo scoprire il mondo.
Ho
cominciato tutto troppo tardi. Avrei anche potuto fare l’università, avrei
anche potuto lavorare. Invece ho dovuto fare delle scelte anche legate all’età
e all’energia. Non ho ad esempio lottato per il diritto al lavoro perché quando
avevo energia non avevo istruzione e forza di carattere. Ad un certo punto il Comune mi aveva proposto di fare la
segretaria da casa. Mi avrebbero mandato del lavoro da fare al computer ma solo
quando ne avevamo bisogno perciò dovevo essere sempre reperibile. Io ho
rifiutato perché voleva dire relegarmi in casa e anche perché non ero ancora
brava con il computer. Se avessi frequentato la scuola nei tempi giusti, sarei
cresciuta prima. Ho cominciato tutto molto tardi, ma non importa; la mia vita
oggi è ricca sia di affetti sia di impegni. Ho imparato ad utilizzare bene il
computer che mi tiene in contatto con tante persone; riesco a farci anche tanti
lavori creativi che mi danno molta soddisfazione.
Oggi
ho la consapevolezza che mi è stato tolto qualcosa che mi spettava come
persona. Ho anche capito però che non bastano le leggi a favore della disabilità;
ci vuole più civiltà, ci vuole più cultura, ci vuole l’abitudine a vivere
accanto ai disabili per poter scoprire che prima di essere disabili sono
persone che hanno bisogno di essere supportati in tante cose ma che hanno anche
tanto da dare.
Angela Capirchio