Scuola: il maestro di Cipì ci mancherà
“Quando entravo in classe, ci mettevamo in cerchio per poterci guardare in faccia, non allineati in modo che uno coprisse l’altro. Toglievo la cattedra perché non serviva. Lì nasceva la base della democrazia, l’abitudine alla democrazia”.
Mi aveva
risposto così, il maestro Mario
Lodi, quando gli chiesi: “Cosa faceva lei quando entrava in
aula?”…
Nessuna
vanità, nessun moto d’orgoglio. Mario Lodi, nonostante una laura ad honorem,
oltre ventotto ristampe del suo Cipì e riconoscimenti in tutto il mondo, era
rimasto il maestro. L’intervista divenne presto il dialogo tra due maestri, da
cui io sentivo solo il desiderio d’imparare. “Per fare il maestro serve un
ingrediente che non è previsto nei regolamenti; bisogna sentire l’amore verso i
bambini che hanno bisogno di tutto e noi possiamo darglielo”. Prima regola.
Mario Lodi, i suoi ragazzi li
aveva amati uno ad uno. Come tutti i maestri ricordava ancora, a distanza di
anni, i loro nomi. Per lui, che aveva contribuito dopo la seconda guerra
mondiale, a far nascere la scuola pubblica statale, la Costituzione
doveva continuare a essere vissuta nelle aule:
“La scuola dev’essere la seconda casa del bambino.
Quando entra in classe, deve portare con sé delle abitudini che diventano
democrazia in atto. Se noi consideriamo l’aula la nostra seconda casa,
le vogliamo bene e quindi la difendiamo da chi vuole distruggerla, diventiamo
“patrioti” della democrazia e impariamo il rispetto per l’ambiente”.
Aveva le idee chiare anche sulla valutazione, le
stesse di don Lorenzo Milani che aveva conosciuto e con il quale aveva
iniziato una corrispondenza tra i ragazzi di Vho e di Barbiana: “Nella
Costituzione non c’è mai un articolo che parli di bocciare. C’è il verbo
promuovere. I fanciulli non vanno mai messi nelle condizioni di essere
bocciati”.
Ho riletto tante volte quell’intervista a Mario Lodi,
riportata nel mio Riprendiamoci la scuola. L’ho letta spesso la sera
prima di andare in classe. L’ho presa in mano tutte le volte che qualche
dirigente o qualche ministro ha anteposto la sua “legge” alla Costituzione. I
suoi libri li dovrebbero conoscere tutti i maestri, dovrebbero essere studiati
all’università, portati in classe.
“Andate
avanti”, ha lasciato detto agli amici indicando la strada da percorrere con
forza e speranza. Non sarà facile, soprattutto in questi tempi.
Ci mancherà, maestro.
di Alex Corlazzoli
tratto da Il fatto quotidiano 3/3/201