Intorno ai Bes e dintorni, una mamma racconta (1)
Sono una donna di 47 anni, mamma di due splendide ragazze di
12 e 15 anni.
Le
mie figlie hanno bisogni educativi diversi, il che non vuol dire che abbiano
entrambe bisogni educativi speciali, ma certamente diversi.
La
piccola ha il sostegno a scuola, la grande è considerata
"normodotata", la piccola vive la scuola serenamente perché
l'insegnante di sostegno riesce a personalizzarle gli apprendimenti, certamente
questo non vuol dire che riesca a raggiungere i livelli minimi di apprendimento
per ogni materia.
La
grande ha grandi capacità cognitive e intellettive, ma probabilmente ha
difficoltà relazionali con i coetanei oltre che di autostima; pur ottenendo
ottimi risultati (voti) non va a scuola volentieri e nell'ultimo periodo
addirittura comincia a pensare di smettere di andarci. Anche in questo
caso sarebbe necessaria una attenzione da parte degli insegnanti ai suoi
bisogni e basterebbe davvero poco. Inoltre malgrado la mia segnalazione del
disagio di mia figlia ai professori e la richiesta di non metterla sotto
pressione, nulla è cambiato.
Eppure
ci vorrebbe poco. basterebbe che dopo ogni interrogazione, dopo ogni verifica
al voto (abitualmente tra il 7 e il 9) non venisse aggiunto il commento
"Da te mi aspettavo di più!", "Avresti potuto fare di più",
"potevi essere più profonda", ecc.
Io
so che sono questi i commenti che la mettono in difficoltà, non solo perchè in
realtà lei si impegna al massimo, ma anche perché la scuola per lei non è
l'unica attività della sua vita: frequenta anche il conservatorio e pallavolo
in modo agonistico; ma gli insegnanti non ascoltano i genitori !!
Sono stata ultimamente ad un convegno sui BES. Ascoltare
fior di esperti parlare di pedagogia, di inclusione, di percorsi
individualizzati, di sistemi didattici diversi, mi ha fatto fare un salto nel
passato.
Io
sono stata fortunata ho frequentato la scuola elementare e media negli anni in
cui c'erano insegnanti e genitori che si battevano per una scuola nuova, con
nuovi metodi, dove i bisogni dei bambini erano messi al primo posto, dove si
stava lottando per eliminare le scuole speciali.
Alle
elementari ho frequentato il tempo pieno, ma non per soddisfare la necessità
dei genitori di trovare dove lasciare i loro figli, ma per permettere nuovi
sistemi di apprendimento, più lento, con più laboratori. Ho fatto laboratori di
creta, cartapesta, musica, drammatizzazione, ecc. Lavoravamo a gruppi, i banchi
erano organizzati a isole, uscivamo nel quartiere a intervistare le persone,
giravamo al mercato rionale, venivano a scuola genitori a raccontarci i loro mestieri,
ecc.
Alle
medie ho frequentato una di quelle scuole speciali che si aprivano e
diventavano scuole normali, la scuola era l'istituto dei ciechi e nella mia
classe eravamo in 17 di cui 1 ragazzina non vedente e due ipovedenti. Io non
ricordo ci fosse insegnante di sostegno, né educatore alla comunicazione, gli
insegnanti conoscevano tutti il Braille e anche noi abbiamo imparato a leggere
il braille. I due ragazzi ipovedenti avevano anche difficoltà di apprendimento
e di relazione con i compagni, ma mai sono stati portati fuori dalla classe.
Mi
chiedo erano più bravi quegli insegnanti che facevano tutto da soli, oppure era
organizzata diversamente la scuola ?
Io
ho imparato come qualsiasi altro bambino che ha frequentato scuole più
classiche, ma credo di aver imparato molto di più di loro sulla vita, sulle
difficoltà delle persone e sulle diversità. Davanti a un disabile non ho paura
per me, cerco di avvicinarmi a lui in modo da essere più aperta possibile alle
sue richieste.
Emanuela