Visita ad un museo

L’altro giorno sono andata a visitare una mostra di quadri. In genere preferisco andarci da sola, ma questa volta ero inserita in un gruppo con una guida, una ragazza giovane. Nel gruppo c’erano alcuni bambini, figli dei visitatori. Io credo che sia molto difficile incontrare una persona che sappia per un’ora e mezza interessare adulti e bambini delle più diverse età. Lei ci è riuscita. I bambini si sedevano sul pavimento e rimanevano a guardare quei quadri con un interesse straordinario. All’inizio il più grande, invitato a guardare il quadro, aveva scambiato un gruppo di pescatori con dei giovani che giocavano a calcio, ma pian piano la ragazza ha saputo guidarli all’osservazione in un modo molto accattivante anche se erano quadri molto lontani dalla loro realtà. Il bello era che anche gli adulti erano diventati curiosi, attenti e si ritrovavano a rispondere come i bambini. La ragazza non aveva un tono "accademico" né tanto meno professionale. Il suo linguaggio era semplice, ma la semplicità non va scambiata con la banalità. Infatti, quei quadri grazie alle sue spiegazioni acquistavano un fascino particolare: era come se prendessero vita e guardandoli ognuno di noi poteva rivivere la passione di chi li aveva creati.
I bambini erano come calamitati, osservavano con stupore e meraviglia quello che via via la ragazza li aiutava a vedere: come hanno fatto a dipingere?, come hanno fatto a rendere così luminoso il cielo? E l’erba? Doveva essere triste quel signore che ha dipinto quel quadro. Molto triste, anzi disperato. Invece, in questo c’è tanta luce, come ha fatto?
Ad un certo punto la guida ride di una battuta del ragazzo più grande, poi lo guarda e gli dice: scusami, ho riso di quello che hai detto e ho capito che ci sei rimasto male, me ne dispiace molto, non dovevo. Il ragazzo che si era fatto in effetti cupo, è tornato a sorridere e a partecipare. 
Ho raccontato questo episodio perché mi sembra un esempio piccolo, ma emblematico di come dovrebbe essere condotta una lezione a scuola. Non si deve rinunciare a insegnare qualcosa di importante, ma si deve essere coinvolgenti e soprattutto l’insegnamento non deve calare dall’alto, né tanto meno essere motivo per umiliare chi sbaglia un commento, chi non sa rispondere alle domande, chi è in difficoltà.
Quando all’inizio della mostra i bambini non sapevano cosa rispondere, era la guida a suggerire e ad aiutarli, fino a quando loro, sentendosi a loro agio e non avendo paura di sbagliare, provavano a dare le loro risposte. Ogni risposta, anche quella apparentemente più strana, aveva una sua logica che puntualmente quella ragazza sapeva prendere in considerazione.

Mi sono complimentata con lei; lei con semplicità mi ha risposto: amo quello che faccio, amo l’arte e amo i ragazzi.

Con queste parole la ragazza ha lanciato un grande messaggio: per saper parlare ai ragazzi di cultura bisogna saper amare non solo la propria materia, ma anche coloro a cui la si insegna.

Quando non riusciamo a ottenere con i ragazzi risultati, è, in genere, più facile cercare le responsabilità nella demotivazione dei ragazzi, nella loro superficialità e via dicendo. Ci si mette fuori dalla relazione. Noi la materia la conosciamo, sono loro che non la vogliono imparare.