Ma la scuola è adeguata a seguire i ragazzi stranieri?

Quando ho iniziato a lavorare con gli stranieri, la mia classe su 21 alunni aveva solo 4 italiani. Non avevo ancora le idee chiare su cosa fare perché erano le mie prime esperienze
Nello stesso plesso, al piano inferiore c’erano le elementari e due maestre, non solo sensibili, ma anche preparate. Conducevano laboratori per stranieri e preparavano tanto materiale. Così io mi sono rivolta a loro che mi davano delle indicazioni soprattutto per chi era appena arrivato. In questo modo sono riuscita a migliorare il mio insegnamento.
Molti dei ragazzi che ho seguito si sono poi persi per strada, anche quelli bravi, come molti cinesi che ho avuto, che avrebbero potuto frequentare gli studi superiori. Purtroppo o non si sono iscritti o, se hanno iniziato, hanno poi mollato. Non ce la facevano sia per carenze linguistiche, sia perché alle superiori non erano seguiti da nessuno. D’altra parte a casa non potevano certo aiutarli!
Se uno può continuare gli studi e non ha ancora acquisito una padronanza adeguata della lingua, andrebbe aiutato, diversamente molla tutto e va a lavorare.
Ricordo con particolare affetto i cinesi. In una classe ce n’erano cinque, tre maschi e due femmine, che vengono a trovarmi ogni anno. Per molto tempo sono venuti insieme, ora vengono singolarmente anche se abitano tutti lontani da me. Sono adulti, hanno famiglia e bambini. Credo che loro faranno studiare i loro figli. Ai loro tempi i genitori, invece, non vedevano la scuola come mezzo per realizzare l’indipendenza economica; quattro di loro lavorano in ristoranti e uno in una ditta di import-esport. L’unico che conosceva bene l’italiano ha rilevato un ristorante.
Mi ha sempre colpito quanto il nostro sistema scolastico non sia ancora adeguato ad affrontare i loro problemi e le storie che molto spesso si portano dietro. Penso ad Aman di cui non ho saputo più nulla. Era stata mandata dal Marocco in Italia per studiare. Era stata segnata sul passaporto di una signora come se fosse sua figlia. Ma questa signora la trattava male e Aman non andava a scuola. Questa situazione è stata segnalata da una maestra ed Aman è stata inserita in una comunità. E’ venuta a scuola da noi ed è lì che l’ho incontrata. La realtà delle comunità è un altro triste capitolo: è molto difficile che i ragazzi che ci finiscono vengano recuperati.
Per alcuni ragazzi venire in Italia è un disorientamento totale perché perdono affetti solidi e sono affidati a se stessi. Ricordo una ragazza rumena che era stata lasciata in Romania con i nonni: stava bene, andava bene a scuola. La mamma l’ha fatta venire in Italia, perché l’Italia è un paese più ricco e la figlia avrebbe avuto un futuro migliore. Lei però lavorava come badante e quindi la bambina era molto sola. Alle medie andava bene ma poi si è persa. Accusava la madre di maltrattamenti e quindi è andata in comunità. Qui ha fatto amicizia con ragazze difficili ed è cambiata radicalmente. E’ passata da una comunità all’altra, purtroppo anche di lei non ne ho saputo più niente.
Molti ragazzi, se solo si adeguasse il programma rispettando la loro competenza linguistica, sarebbero in grado di frequentare le scuole superiori, mentre molti si perdono per la nostra inadeguatezza ad affrontare i problemi.
 
L’insegnante Carla