Non si va da nessuna parte se non sei capace di attendere

In questo periodo in cui a scuola non si fa che parlare di INVALSI, di prove, di valutazione e ci si prepara a promuovere o bocciare secondo criteri che vogliono essere standard e oggettivi, noi ci vogliamo soffermare su queste storie che abbiamo e stiamo raccogliendo e vi stiamo proponendo per non perdere mai di vista il fatto che i bambini sono unici, che ognuno ha una sua storia di cui bisogna tener conto e che bisogna rispettare, che  tutti devono sentirsi riconosciuti per quello che sono e valorizzati per poter davvero iniziare il loro personale cammino di apprendimento.

Non si va da nessuna parte con i bambini che hanno problemi se non hai molta pazienza e se non sei capace di attendere, di comprendere che i risultati non arrivano in fretta. Non vai da nessuna parte se pensi che la meta da raggiungere sia sempre solo la normalità così come i più la pensano.

Io ero così. Mia figlia è autistica, io le ho sempre voluto molto bene, ma ammetto che dentro di me c'era tanta tristezza, a volte rabbia perché mia figlia non era come tutte le altre. Spesso rifiutavo di entrare nel suo mondo ed io e lei vivevamo come in due isole, vicine ma lontane, ognuna chiusa in un mondo suo. Anche io non avevo amiche, sicuramente perché, quando mi ero accorta che Luisa non era normale, io mi ero allontanata da tutti: mi vergognavo, non sopportavo lo sguardo di commiserazione delle altre mamme, non sopportavo che parlassero dei progressi dei loro figli più o meno coetanei della mia.
Poi ho incontrato l'insegnante di appoggio che ha seguito Luisa alle medie. Una persona eccezionale che aveva creato con Luisa un legame speciale di cui all'inizio ero anche un po' gelosa. Era riuscita anche a farla accettare dai compagni. Per la prima volta Luisa aveva degli amici e dimostrava in modo chiaro che era contenta. E’ sempre stata con tutti i compagni, che spesso la affiancavano nel suo lavoro. Non era mai esclusa e questo era bellissimo. Andava volentieri a scuola.

Clara, così si chiamava la sua insegnante di appoggio, mi diceva sempre che dovevo imparare a vedere i progressi di Luisa anche se non sarebbe mai stata come io avrei voluto che fosse. Dovevamo aiutarla ugualmente a vivere bene, a stare bene anche con gli altri.
Lei era stata spesso aggressiva con me e con gli altri ed io pensavo che questo suo comportamento fosse legato alla sua malattia. Non era così: era aggressiva perché voleva dirmi qualcosa che io e altri non comprendevamo, era aggressiva perché non si sentiva accettata e tanto meno valorizzata, adesso finalmente lo capisco.

Ci ho messo molto tempo ad arrivare a questa consapevolezza. Mi sembrava che per Clara fosse facile parlare, non era lei la mamma. Ma lei insisteva: proprio perché io ero la mamma, dovevo guardare mia figlia con altri occhi. Lo dovevo a lei, ma anche a me stessa. Quello che davvero mi ha aiutato è vedere per la prima volta mia figlia contenta: contenta quando andava a scuola, felice quando qualche sua compagna la veniva a trovare. E soprattutto non era quasi più aggressiva.
Aveva bisogno, a questo punto lo capivo davvero, che io l’accettassi e che qualche volta facessi un passo indietro. Sì, perché le stavo sempre addosso. Ho capito però che anche io avevo bisogno di aiuto e ho trovato uno psicologo davvero molto bravo.

Ora comincio a guardare Luisa con altri occhi e tutto è diventato più facile.
Mamma Rosanna