GLI INSEGNANTI SI SCRIVONO…




Cari tutti,

In realtà la critica è a un sistema. Ciò che volevo dire è che pretendiamo sempre moltissimo dai bambini, molto dai genitori (per i quali spesso si tratta della prima esperienza con un figlio e con la scuola), mentre non sempre pretendiamo tanto dagli insegnanti. Dovremmo chiederci: ho fatto veramente il possibile? So cosa si deve fare in questi casi? Sono abbastanza aggiornato per affrontare questa situazione?
In questi giorni ho discusso molto riguardo ad aggiornamento e autoaggiornamento. C’è quasi timore a richiedere agli insegnanti di conoscere le Nuove Indicazioni ministeriali, ad esempio, perché si teme che alcuni si sentano inadeguati.
Questo termine è emerso nella discussione, di nuovo con una valenza negativa. Penso che nella nostra professione sia inevitabile sentirsi continuamente inadeguati, perché lavoriamo con persone che cambiano continuamente, in una società continuamente in movimento e la ricerca sull’apprendimento che scopre continuamente aspetti nuovi del funzionamento del nostro cervello. Personalmente mi sento continuamente inadeguata. No, non più disperatamente come mi sentivo quando sono entrata di ruolo a diciott’anni, perché so dove cercare informazioni o a chi chiedere; perché con il passare degli anni mi sono detta che il senso di inadeguatezza è quello che ti spinge a migliorare, che ti dà un senso per il futuro. Bisogna sentire il vuoto per aver voglia di riempirlo. Quindi per me il senso di inadeguatezza è sano, necessario, positivo.
È tremendo pensare che, mentre in quasi tutti i settori si venga inviati regolarmente ad aggiornarsi, proprio nell’ambito educativo ciò non venga sentito come un’esigenza spesso dagli stessi insegnanti. Quei docenti che rifiutano di essere valutati (non parlo di chi fa giustamente dei distinguo politici), di essere selezionati. Sento in questa chiusura al confronto una nostra debolezza e il sintomo dell’avvenuta distruzione della scuola pubblica. La creazione di un’ennesima casta di intoccabili. Non voglio dire: dobbiamo fare come la Finlandia e scegliere gli insegnanti tra i più bravi laureati del paese, voglio solo che venga restituita dignità alla nostra professione e penso che possiamo riaverla soltanto quando tutti agiranno da professionisti. In questi ultimi anni mi sono trovata per la prima volta a difendere i bambini dagli adulti che sono passati nella nostra classe: la supplente tossica che rubava le merendine e si addormentava sulla cattedra dopo aver abbassato le tapparelle, lo strano personaggio con chiari disturbi mentali, l’ipocondriaca, ecc… Non sono “brava ed esigente”, sono un’insegnante normale che cerca di fare il proprio meglio come tutti voi. Cosa avreste fatto voi (immaginatevi nella vostra classe o meglio nella classe frequentata dai vostri figli)? Avreste pensato che il confronto con persone diverse fa bene al bambino? Anche quando vi foste ritrovate con metà classe dallo psicologo a causa di un’insegnante? Ai bambini ho sempre detto che gli adulti, come loro, sono tutti diversi e con alcuni si va più d’accordo, con altri meno. Loro: “Va bene, ma almeno la ladra di merendine non chiamatela più quando state male!”. Si tocchi tutto ma la merenda no!
Mi rattrista chi inizia questo mestiere credendo di non aver niente da imparare, pensando che le cose avvengano come per magia, senza una fatica e una preparazione continua alle spalle. Ho ben presente tutti i miei errori, non solo quelli macroscopici dei primi anni, me li perdono (quasi..)solo quando so che dopo ho cercato di capirne di più per non ripeterli. Sono grata a tutti i colleghi che mi hanno fatto capire che sbagliavo, che mi hanno fatto rendere conto di quanto non sapevo: sono loro che hanno trasformato un lavoro scelto perché avevo bisogno di lavorare al più presto, in una passione. Vorrei comunicare a chi inizia che impegnarsi nel cercare di fare bene il proprio lavoro paga: ti diverti di più, cresci di più. Alcuni tirocinanti, alcune supplenti sono assetate di conoscenza, altre rispondono facendo spallucce, prendendoti un po’ in giro (ma tu non hai una vita privata a cui pensare?), non hanno mai tempo di discutere, di leggere, di confrontarsi. Dei primi penso che saranno degli ottimi insegnanti, degli altri spero che cambino o atteggiamento o lavoro. A volte mi chiedo se c’entri l’etica “quasi calvinista” che mi ha trasmesso la mia famiglia: se ti pagano per un lavoro cerca di farlo al meglio, se non ti pagano anche.
Quando ho chiesto ai bambini di spiegarmi perché, tra tutte le insegnanti che avevano avuto in questi anni, ce ne fosse solo una in particolare che ricordavano e cercavano sempre mi hanno risposto che “si vedeva che a lei importava che noi imparassimo”, ”ci faceva FARE tante cose, non solo copiare alla lavagna”, “si preoccupava di noi”. Interessante, no? Avrebbero potuto rispondere “perché ci faceva lavorare di meno”, “perché ci dava voti alti”, non so..Quante cose ci insegnano continuamente i bambini…
Se la classe “si comporta male”, sto davvero facendo tutto il possibile per ascoltare i bisogni intellettuali, emotivi, fisici dei bambini? Li sto vedendo o vedo solo il programma? Possibile che siano sempre e solo gli insegnanti ad avere ragione?
Vi faccio due esempi lontani dalla nostra scuola: il figlio di mia cugina ha iniziato prima. Al primo colloquio il bambino viene “diagnosticato” forse dislessico, sicuramente disprassico. Mia cugina allarmata mi contatta per sapere se la mia amica psicomotricista può fare una valutazione. Penso che sia una “diagnosi” strana: P. legge e scrive da quando aveva quattro anni. Mi porta a vedere i quaderni, ordinatissimi, perfetti. La linea incriminata è quella della T che,nella data a volte non raggiunge la linea decisa dall’insegnante.  L’insegnante sta presentando tutti i caratteri insieme (script, stampato maiuscolo, corsivo). Se P. è dislessico, penso a tutti i bambini che si perdono o si perderanno. Penso alle famiglie senza mezzi per capire o far fare valutazioni, che tra qualche anno si dispereranno per il “bambino sbagliato” che stanno allevando…Rassicuro mia cugina, ma non posso dirle di consigliare all’insegnante di aggiornarsi e rivedere il suo metodo, piuttosto che preoccupare una famiglia, stressare un bimbo con test e valutazioni, far spendere un sacco di soldi a due giovani genitori. Sarà l’insegnante di suo figlio per cinque anni. Il compagno della materna di P., estroverso, creativo e un po’monello, viene invece “diagnosticato” come autistico (!!!) perché non parla mai e, appena finito il suo dovere, disegna per i fatti suoi. A domanda il bambino risponde: non puoi mai parlare, devi stare seduto a riempire pagine di pallini…mi annoio! Per il suo disegno sui primi giorni di scuola e la cosa più bella di quei giorni ha disegnato il cartello con su scritto USCITA. Sono i bambini da “rieducare”? Le famiglie? Forse sì, ma pretenderei che almeno i professionisti dell’educazione si ponessero qualche domanda.In questi anni, per la prima volta, ho dovuto decidere se stare dalla parte dei colleghi o dei bambini. Sarà scorretto, corporativamente parlando, ma ho scelto i bambini.
Ed ecco il secondo problema che avrei voluto esprimere l’altra sera: parlando di confini, come si fa a mettere un confine tra te e il collega di classe? Come si fa a non fare al suo posto ciò che secondo te va fatto? Come si fa a non farsi carico delle punizioni che, davanti ai bambini, ti viene chiesto di eseguire? È giusto fare ciò che non credi giusto, per salvare un’apparenza di coerenza? Io non ce la faccio. Ho lottato tanto contro la scuola del “far finta”, per l’autenticità, il dialogo, la co-costruzione ,il lavoro collegiale, la ricercazione, la metacognizione e la consapevolezza, le classi aperte, l’osservatore amico in classe,…sono obsoleta, lo so. Sono stufa delle risatine accompagnate da “ma quanto lavori…” dei colleghi, dei commenti “tu ci tieni…” come se fosse solo un punto d’orgoglio personale fare con i bambini ciò che tutte le ricerche ti confermano sia giusto fare, del “sei attenta ai bambini perché non hai potuto avere figli…”.Che fare?  Negli ultimi anni penso ad alternative, a un nuovo lavoro (nonostante la passione smisurata che ho per l’insegnamento ) perché non voglio essere complice di qualcosa che non condivido.
Vi ringrazio per la vostra attenzione,
L.

Cara L.
penso tu mi conosca abbastanza bene da sapere che condivido tutto quello che hai scritto e detto e che mi ritrovo in ogni singola parola. non so se ci accomuna il fatto effettivamente di non avere figli e quindi di dedicare tutte noi stesse ai nostri allievi, anche io credo che la professionalità e il far bene il proprio lavoro esulino da questo istinto represso di maternità però non posso negare che nel mio caso in parte c'è sicuramente anche questo, il mio lavoro è la ragione della mia vita e questo non è così sano, me ne rendo conto. Inoltre riconosco di non avere i quotidiani impegni famigliari di colleghe e colleghi con figli e coniugi sul groppone e quindi di dedicare alla scuola ampio spazio e tempo che a volte non per mancanza di volontà ma per mancanza di tempo e stanchezza, ad altri viene a mancare. Amo il mio lavoro al punto che a volte devo ricordarmi che di lavoro si tratta e non di volontariato, missione o impegno famigliare e non perché se no "rischierei" di farlo al meglio ma piuttosto perché se no rischierei di calpestare la dignità e i diritti dei lavoratori, di accettare tutto solo perché a me non pesa e, credendo fortemente nei diritti e combattendo da sempre lo sfruttamento dell'uomo sull’ uomo e insegnando quotidianamente ai bambini a condannare l'ingiustizia, devo in questo pormi dei limiti e mantenere una coerenza. Detto ciò anche io credo di non essere l'altro giorno riuscita ad esprimere al meglio il mio pensiero che tutto voleva essere meno che di accusa nei tuoi confronti e di questo ti chiedo scusa. Non avevo un pensiero costruito e definito, cercavo solo di vivere la situazione dai vari punti di vista senza dimenticare che al centro dovevano comunque essere messi i bambini. Penso comunque sia importante, credendo nella pluralità degli insegnanti e non nel maestro unico, imparare a lavorare con gli adulti, esigendo sì professionalità e non giustificando neanche in parte il ladro di merendine, il tossico e l'incompetente, ma allo stesso tempo sapendo che è la parte più difficile del nostro lavoro l'interazione con i colleghi, la mediazione e che insegnare la differenza vuol dire innanzitutto saperla vivere e spesso non è facile molto meno facile per noi che per i bambini. Come fare? Non lo so e penso sia molto difficile specie quando si diventa per forza di cose il punto di riferimento in positivo dei bambini stessi pronti a captare ogni più celato sintomo di benevolenza o malevolenza nei confronti degli altri insegnanti dalle pieghe dei nostri volti prima ancora che dalle parole...impossibile fingere con i bambini, io sono per l'essere sempre se stessi, per insegnare l'autenticità e per questo penso che il lavoro sia a monte, nel riuscire noi adulti a continuare a battersi per una scuola che non permetta a certa gente di avere a che fare con i bambini e di scegliere l'insegnamento per il minor numero di ore di lavoro e dall'altro lato a sperimentare continuamente l'arte della mediazione, del mettersi in discussione perché non sono solo i bambini che cambiano continuamente, sono anche quei bambini che poi crescono ed entrano nel mondo del lavoro già senza alcuna speranza, con un futuro che gli è stato tolto, con una precarietà e una sfiducia disarmante. Sempre più questi saranno i nuovi colleghi con cui ci troveremo a lavorare e non sempre sarà facile coltivare in loro l'entusiasmo, comprendere ed esigere allo stesso tempo. Quando ho iniziato a lavorare sul sostegno mi sono accorta di quanto fosse difficile questo lavoro rispetto alla classe non per la gravità dei vari handicap ma per la continua compresenza coi colleghi e fino a che ero nell'altra scuola piangevo tutte le notti, mi sentivo inutile, impotente e controproducente. Ripeto dunque che la soluzione in tasca non ce l ho, penso sia importante continuare a parlarsi, discuterne, arrovellarsi, fare corsi come quello che stiamo facendo ecc. ecc.
Bisogna sentire il vuoto per avere voglia di riempirlo scrivi tu e sono d'accordo ma questo va anche a carattere perché io a volte nonostante il vuoto, nonostante il dolore non riesco a riempire proprio un bel niente e preferirei invece del vuoto sentire una voce, una mano, una collega come quelle con cui ho la fortuna di lavorare. Questo molto più nella vita personale che in quella professionale ma penso che la metafora si possa adattare a diversi contesti.
Ricordo poi la mia esperienza da alunna quando ogni supplente incarnava le vesti del mostro, quella che ci portava via la maestra buona e quindi a volte capisco anche la stanchezza e la frustrazione di chi la condizione di supplente la vive ormai da anni e anni in un eterno viaggiare senza continuità alcuna, senza mai un riconoscimento. Ricordo anche che la supplente che più ho amato da bambina è stata quella che ci faceva dare da mangiare ai piccioni sul davanzale, ricordo che tutti la credevano pazza perché poi i piccioni cercavano di entrare in classe però ai bambini oltre al sapere resta anche l'umanità e l'originalità nei limiti ovviamente della professionalità e del compito che un insegnante e un educatore sono tenuti a svolgere.
In ogni caso più penso, più condivido quello che scrivi e sicuramente siamo abituati a esigere davvero troppo dai bambini con invece un'enorme indulgenza nei nostri confronti e questo non va assolutamente bene. Il nostro non è un lavoro d'ufficio bensì di relazione dove non è concesso l'immobilismo e la ripetitività, dove tutto è in continuo cambiamento e noi dobbiamo saper stare ai passi con ciò. Non mi dilungo sul discorso "proliferare delle diagnosi", non credo nella dislessia, nella dislalia, discalculia e disgrafia, credo piuttosto che sia molto comodo etichettare e chiamare dislessico quello che un tempo era svogliato. Parole diverse, nomi diversi con lo stesso obiettivo: etichettare un bambino, considerarlo inadeguato a un tipo di scuola che non prevede mai di essere lei stessa inadeguata ai bambini. Un bambino non dovrebbe mai vivere la scuola come una gabbia, non dovrebbe mai sognare l'uscita ma dovrebbe sentire come uno spazio suo come una possibilità e non come una noia mortale il suo tempo scuola e  questo dipende in primo luogo da noi prima ancora che dalle condizioni in cui nostro malgrado ci troviamo a lavorare. Per quanto però riguarda le indicazioni ministeriali il mio non è un mood(eccola qui la disgrafia:-)) per scappare dal confronto e dalla valutazione bensì un disgusto verso tante belle parole dettate dall'alto e inattuabili quando non si danno le condizioni per farlo(spazi, tempi, personale, norme di sicurezza soffocanti, banchi costretti a una didattica esclusivamente frontale...).
sono mille le cose che vorrei ancora dire ma mi rendo conto di essere già stata fin troppo prolissa....ho tempo...non ho figli ed è carnevale:-)
senza alcun giudizio e con tanta stima care colleghe vi saluto
M.
Care tutte, intanto grazie, perché era davvero da un po’ di tempo che non mi capitava di confrontarmi con altre insegnanti sulle criticità del nostro lavoro in modo così autentico e vero, partendo dalla quotidianità e  dal lavoro sul campo.

L’altra sera, sebbene fossi molto stanca, reduce dagli scrutini, sono stata davvero felice di essere stata con voi, perché ho ritrovato nelle vostre parole, nelle vostre riflessioni tantissime delle domande che faccio a me stessa in forma quasi di monologo interiore senza ovviamente trovare risposta. Farsele insieme, le domande, non è solo consolatorio, ma sicuramente  aiuta ad articolare le riflessioni.

Giovedì sera mi sono sentita molto vicina alla posizione di L., espressa in maniera forse più istintiva prima, più pacata ma altrettanto chiara poi. Da quando, oltre ad essere insegnante, sono anche entrata come genitore nel mondo della scuola, queste domande sono ancora più pressanti: possibile che tanto sia affidato al caso nell’istruzione dei nostri figli e dei bambini in generale?

La prima cosa che si chiede alle famiglie è di fidarsi e di affidarsi alla scuola ma sapete che non è sempre così facile? Ci sono situazioni così macroscopicamente sbagliate all’interno di alcune classi che viene da rabbrividire. E viene da chiedersi: ma facciamo veramente di tutto, noi adulti, perché quello della scuola sia un ambiente adatto ad un bambino di sei, sette, otto anni? E non parlo delle competenze dei singoli insegnanti, parlo di un sistema, di un meccanismo che dovrebbe tutelare il diritto allo studio e al benessere del singolo alunno all’interno di una comunità scolastica. In questo momento sento di avere delle perplessità.

Ma voglio sganciarmi dal mio ruolo di genitore, che mi coinvolge troppo personalmente e torno a bomba su quello di insegnante. Talvolta, infatti, mi capita di trovarmi di fronte a situazioni davvero “imbarazzanti”, di cui siamo responsabili noi adulti di fronte ai ragazzi, che mettono in dubbio non solo l’autorevolezza ma la credibilità stessa degli insegnanti e finisco per chiedermi se ci rendiamo conto del ruolo che ricopriamo e della sua delicatezza.

 Io sono molto cambiata nel corso di questi anni: quando ero una giovane supplente affrontavo il mio lavoro con un grande entusiasmo, oggi non mi manca l’energia di allora ma si è aggiunta nel tempo quella sensazione di inadeguatezza di cui forse parlava L. che probabilmente è ciò che ci permette di non dare mai  nulla per scontato e di non abbassare mai la guardia. Ha ragione M. quando dice che la capacità di mediare e di creare relazioni positive dovrebbe essere una caratteristica fondamentale di ogni insegnante che, per la natura stessa del lavoro che fa, dovrebbe essere abituato a lavorare in gruppo, in equipe, attraverso la condivisione di un progetto comune, il problema è che spesso la costruzione di un progetto comune sembra essere qualche cosa di più grande  rispetto alle singole debolezze o, peggio, rispetto ai singoli egoismi. E  forse è per questo che alle volte si reagisce con una sensazione di frustrazione e di impotenza.

Mi fermo, ma credo che la riunione dell’altra sera abbia raggiunto il suo scopo: metterci a confronto con passione su temi molto vivi per ognuna di noi e sono sicura che la prossima volta ci sarà ancora tanto da dire. 

Un abbraccio,
N.

Buonasera,
sono certa che nel nostro prossimo incontro ci sarà modo per confrontarsi sui temi emersi, che sento preziosi e necessari.
Oggi non riesco a scrivervi come vorrei, perché sono febbricitante ahimè,
però ci tenevo a dirvi che sento molto coraggio e dedizione nelle vostre posizioni. E che sono certa ci possa essere più di un modo per cercare insieme le strade più opportune e costruire nuovi confini condivisi. Da quanto mi è dato vedere non mi sembra ci sia in nessuno di voi l'intenzione nè il desiderio di svalutare gratuitamente il lavoro dei colleghi, quanto piuttosto la ricerca di uno spazio comune di dialogo e condivisione dei metodi.
Per costruire nuovi confini è necessario forse riconoscere l'assenza o la fragilità di quelli già esistenti.
A presto
G.

cara L.,

si, io penso che tu sia proprio brava e non scherzo quando ti dico che sei la maestra più brava della scuola! E non lo dico con risatine o commiserazione, lo dico con profondo rispetto..e un po' d'invidia! :)
io cercavo di riflettere insieme a voi su quando e fino a che punto è bene difendere un'insegnante davanti ai genitori e/o ai bambini e mediare o quando è necessario denunciare. Nella mia carriera mi è capitato due volte di sostituire colleghi che erano stati forzati a mettersi in malattia dal dirigente..
Condivido con te il malessere della scuola italiana, come te mi trovo spesso ad ascoltare genitori in crisi con la scuola e penso seriamente che l'unica soluzione sarebbe cambiare il reclutamento degli insegnanti attraverso colloqui, periodi di prova (prima della nomina in ruolo e non dopo!!), la possibilità di licenziamento. Solo così il ns. mestiere riacquisterebbe la dignità perduta.
Però nel frattempo cerchiamo di capire come fare al meglio il ns. lavoro con le colleghe che ci troviamo. Io non sono stata sfortunata come te e negli anni ho trovato tante brave (e buone) colleghe.
Hai ragione rispetto al pretendere tanto, ma se questo ci porta poi a stare male allora non ne vale la pena.

un abbraccio

T.