La mia infanzia, la mia scuola e non solo …(1)


Scrivo come se parlassi avendo di fronte qualcuno; non mi interessa che sia giusta la forma, gli errori di ortografia, mi interessa che arrivi il messaggio che vorrei trasmettere, nulla di più …
Parlo della mia esperienza scolastica: scuole elementari, quelle che per me furono le più traumatiche. 
Figlio di padre minatore, 6° di 10 figli; una infanzia “negata” a causa della povertà  (parlo dei primi anni 60); famiglia numerosa, risorse scarse, tante rinunce e molto lavoro per tutti, piccoli e grandi; dopo la scuola si lavorava in campagna : zappare la terra per coltivare patate, ortaggi di ogni genere: ciascuno di noi doveva contribuire, lo stipendio di babbo non bastava a sfamare una famiglia numerosa come la nostra.
Sopra ho detto “infanzia negata” :  di proposito lo ho detto … l’infanzia è dei bambini, una fase della vita “unica” e come tale andrebbe vissuta senza forzature: non si può saltare il tassello, diventare adulti ad ogni costo, prematuramente adulti; non ha senso, si toglie il diritto al gioco, al sorriso; lo considero un “furto” alla vita, quella negata appunto; come la mia in parte “negata” a causa delle condizioni economiche famigliari.
Andare a scuola era un “dovere” per tutti, su questo mio padre era molto severo; tempo per studiare poco, ma dovevi farlo ad ogni costo: una nota scolastica significava colpi … e sinceramente voglia di prenderli non ne aveva nessuno, me compreso, anche se puntualmente arrivavano pure quelli !
Ricordo sempre le parole di mio padre : “la 3° media la dovete fare tutti, a costo di prendervi a calci nel sedere: chi vuole continuare gli studi sono disposto a spaccarmi la schiena in miniera, chi non se la sente si cerchi un lavoro che fannulloni in casa non ne voglio” !

Col tempo capimmo il perché delle sue parole: nessuno di noi avrebbe dovuto fare una vita come la sua: vita da minatore, dentro le viscere della terra,dove non conosci il sole, dove il sole è buio, dove le stagioni sono uguali tutto l’anno; per noi “voleva” una vita migliore, ciò che a lui fu negato;  a volte ( raramente …), scherzando diceva: sottoterra ci si deve andare da morti non da vivi: aveva ragione … 
Ma ora passo alla scuola, la mia scuola elementare: fui sfigato pure allora; non riuscivo a capire la sfortuna che mi perseguitava: eppure non avevo mai fatto del male a nessuno, non sapevo cercare/trovare un perché proprio a me ! A quei tempi le maestre/i erano una “Istituzione”, come il medico, il sindaco etc: l’alta società cittadina a cui tutti riservavano rispetto ricevendone in cambio (spesso), solo umiliazioni. Mi assegnarono ad una classe che per me fu traumatica: tutti i miei compagni erano figli di insegnanti, medici, ingegneri, politici; insomma, “la crema della società cittadina”. Era palese che era una classe “scelta ad hoc” dalla Sig.ra maestra: ero molto timido, ma mica tonto!!! Là dentro ero “un corpo estraneo”, imposto per motivi di affollamento scolastico, un figlio di “minatore";  mi sentivo un giocattolo in mano a ragazzini viziati che non esitavano a deridermi e umiliarmi per la mia provenienza sociale: la mia timidezza si accentuò ulteriormente, mi chiusi a “riccio” con tutti, forse pure con me stesso: sentivo e tolleravo gli insulti, ma non reagii mai alle provocazioni dei compagni: mi sentivo avvilito da tanta avversità, non riuscivo a capirne il senso: ero figlio di minatore, una famiglia “povera”, solo questo poteva giustificarne il loro comportamento. 

La Maestra: la Sig.ra maestra Zaira. Era una donna molto bella: alta, bionda, sempre elegante e piena di gioielli che sembrava Nostra Signora delle Grazie portata in processione; aveva unghie lunghissime, curate alla perfezione con tanto di smalto rosa chiaro: l’unghia del dito mignolo era spropositato: sarà pure stata una maestra, una donna dell’alta società, di famiglia ricca, però quel mignolo lo usava per grattarsi le orecchie e scaccolarsi il naso ( avevo molto spirito di osservazione …). Appena entrava in classe tutti in piedi e silenzio assoluto: Lei si avviava al “trono” : una pedana in legno su cui sopra c’era la cattedra: la sua era una postazione da cui vedeva tutto e tutti, non le sfuggiva nulla !!! Conosceva a memoria ciascuno di noi: sapeva come, dove, e quando colpire … era molto “manesca”! . Ci riempiva di compiti da fare a casa e il giorno successivo dovevamo aprire il quaderno sul banco (quei quaderni antichi con le strisce rosse e copertina nera);  passava fra i banchi senza parlare, controllava se i compiti erano stati fatti, poi tornava nel suo trono e li cominciava la “tortura”: aveva una memoria di ferro, micidiale
Una volta non feci il compito perché il giorno prima aiutai babbo in campagna; ero troppo stanco … mi chiamò e mi fece salire sulla pedana del suo “altare: mi umiliò di fronte ai compagni (che ridevano); mi diede due schiaffoni a mani piene su ambedue le guance talmente forti, che mi pisciai addosso : un dolore tremendo: ma il dolore più forte per me fu l’umiliazione che avevo subito; mi piangeva il cuore, dentro mi sentivo vuoto, una sensazione difficile da spiegare con le parole; non versai neppure una lacrima, rimasi immobile e impassibile, cosa che innervosì ancora di più “la strega” la quale,  continuò a infierire con schiaffi sempre più forti: si dovette arrendere con la sua “tortura”: da me non ebbe neppure una lacrima ( piangevo dentro però … ), quella soddisfazione non gliela avrei mai data, neppure mi avesse ucciso !!!
Ero figlio di minatore, ma la mia dignità valeva molto più di tutti i gioielli che aveva addosso, molto di più della sua ricchezza che teneva ad evidenziare costantemente …
Testo di Alessandro