Anni di umiliazione perchè... Nessuno ne sapeva niente!

Foto di Mia Feigelson
"Sei anni di umiliazione perchè gay", racconta in un'intervista un ragazzo ventenne di Udine proprio in questi giorni, rimbalzata su tutti i giornali e su Facebook. Ma purtroppo anche anni di umiliazione perchè piccolo, perchè balbuziente, perchè handicappato, perchè straniero, perchè marocchino, negro, timido, incapace, lento, perchè non veste alla moda, perchè... perchè... Sembra proprio che la scuola sia diventata molte volte teatro di violenze più o meno gravi.
Essere gay è sicuramente difficile perchè va contro norme sociali, tradizioni culturali, dogmi religiosi. Mette in discussione i nostri confini, ciò che è lecito e ciò che non lo è, ciò che è sano e ciò che "è malato". In sostanza non si accetta che la persona sia quello che è anche se non fa del male a nessuno. E allora ci permettiamo di entrare nella sua vita privata, ci permettiamo di giudicarla e spesso calpestarla. Una persona non è più una persona è "un gay", è "una lesbica", in sostanza "è fuori", è un nemico. Quindi puoi picchiarlo, insultarlo, prenderlo in giro, denigrarlo... puoi tutto e se non lo fai tu, stai a guardare in silenzio cosa fanno gli altri.
Sono anni che leggiamo articoli che ci raccontano queste vessazioni, sono anni che vediamo l'indignazione di una certa parte dell'opinione pubblica.
Quello che ci sconcerta è come la risposta degli insegnanti e della scuola di fronte a fatti drammatici o eclatanti sia sempre: "Non ne sapevamo niente". Non ci stupiamo di questa risposta perchè se si arriva a questi punti vuol dire che prima, in classe e nella scuola, non si è fatto nulla per prevenire educando. L'educazione al rispetto reciproco non è una materia, ma dovrebbe essere la modalità che caratterizza il nostro stare a scuola e che potrebbe vivificare ogni materia.
Ciò che vogliamo mettere in discussione è proprio il silenzio degli adulti, il non sapere che diventa connivenza. Non si può non sapere cosa succede ai tuoi ragazzi, a quelli che vivono tante ore della loro vita con te. Non si può non parlare, non discutere, non dialogare con loro proprio dei problemi che li toccano così da vicino. Perchè tutti sappiamo che i problemi esistono.
Si fanno i convegni per cosa? Si fanno i progetti per cosa? Si fa cultura per cosa?

La cosa che chiedono tutti i bambini e i ragazzi con più insistenza, se li si lascia parlare, e che più difficilmente sanno poi loro stessi realizzare, è di essere accettati dai compagni.
I giovani, oggi, sembrano più adulti, perché hanno i desideri dei grandi, ma in realtà sono sempre più immaturi affettivamente, sempre meno sanno decifrare le loro emozioni, sanno parlare dei loro sentimenti e delle loro paure perché sempre meno trovano spazi e situazioni in cui poterlo fare.
Tra di loro non sono abituati ad ascoltarsi, a soccorrersi. Si giudicano per come vestono, per come riescono nei giochi, ma non si conoscono veramente, tutti chiusi come sono nel loro mondo. Hanno difficoltà a esprimere i propri sentimenti, ad avere rapporti interpersonali. Tuttavia amano il gruppo e dal gruppo vogliono sentirsi accettati a tutti i costi, ma difficilmente da soli sanno creare un gruppo che accolga e sappia rispettare anche i più deboli. L’aggredire l'altro è normale, prenderlo in giro, insultarlo è solo uno “scherzo” e non si ha coscienza di far del male.
Non sanno dare risposte del loro comportamento, non sanno cosa vuol dire essere "responsabili”.  Non sanno ribellarsi all'ingiustizia.
E’ compito di noi adulti  far comprendere la differenza tra scherzo e offesa, tra divertimento e aggressione dell'altro, far notare che ciò che noi soffriamo è sofferenza anche nell'altro, che la sensibilità può essere diversa, che qualcuno può essere più vulnerabile di un altro. 
Starebbe a noi parlare di sentimenti, di emozioni, ma forse anche noi abbiamo perso questi valori, forse anche noi non ne siamo più capaci.
Sta a noi educarli a “dare risposte”, a essere responsabili dei loro comportamenti non per “punirli”, ma per far loro prendere coscienza di quanto ogni piccolo gesto può far del bene o del male.  Per renderli partecipi della vita degli altri, per aiutarli a sentirsi “individui” tra altri”individui” e non parte di un gruppo in cui comanda chi alza più la voce per farsi sentire.
E’ un lavoro lungo, continuo, attento, un lavoro soprattutto quotidiano. Troppo spesso liquidiamo questi comportamenti con un “sono solo ragazzate” o “una sospensione”, due estremi che nulla hanno a che fare con il lavoro di educazione alla responsabilità e all'affettività, a conoscere “l’alfabeto emotivo”. Troppo spesso siamo attenti a non rimanere indietro al programma e non a quello che succede intorno a noi. 
In questo contesto la diversità sessuale diventa una diversità tra le molteplici diversità, tutte da rispettare. Bisogna ricordarci che l’essere insieme è un’incrociarsi di mondi privati, ma partendo da questi occorre istituire sempre di nuovo il senso dell’essere-in-comune.
Vi facciamo vedere una testimonianza tratta dal pezzo teatrale "Di bullonite guarire si può" portato in scena da Manuela Massarenti e Adriana Zamboni, testo tratto dal libro "Star bene insieme a scuola si può?". La testimonianza è vera.

                               
Maria, Costanza, Chiara, Emilia