L’avvenire sono io in peggio...


Quando un bambino non arriva a conseguire risultati soddisfacenti, quando arranca, non riesce  e quindi prende brutti voti, qual è il nostro atteggiamento? Siamo insegnanti che valutano non solo dove è arrivato un ragazzo, ma anche se stessi, il proprio lavoro e quindi i propri errori e i propri insuccessi? Oppure riteniamo che la responsabilità appartenga solo all’alunno?
Ci chiediamo mai che effetti ha la nostra valutazione? che immagine di sé il ragazzo elabora? Per rispondere a queste domande riprendiamo alcuni passi del libro “Diario di scuola” di Daniel Pennac, che in prima persona sperimentò l’insuccesso a scuola, pur essendo diventato insegnante e scrittore.
Di fronte alla valutazione ogni ragazzo è portato a proiettarsi nel futuro, a vedersi in negativo o in positivo a seconda dell’immagine che gli altri gli rimandano. Pennac di fronte alle sue continue sconfitte scolastiche pensava:
“L’avvenire sono io in peggio, ecco come interpretavo le parole dei miei professori quando mi dichiaravano che non sarei diventato niente. Ascoltando, non mi facevo nessuna rappresentazione del tempo, li credevo e basta: cretino per sempre, nient’altro mai, dove “sempre" e "mai” erano le uniche unità di misura che l’orgoglio ferito propone al somaro per sondare il tempo” (…) “Una  proiezione del presente sullo schermo angosciante del futuro. Il futuro come una parete dove sono proiettate le immagini smisuratamente ingrandite di un  presente senza speranza”
Ricorda, invece, l’arrivo nella classe di un insegnante che individuava in modo realistico i suoi punti deboli, ma sapeva far leva anche sulle sue potenzialità incoraggiandolo e indicandogli strade per andare oltre i suoi limiti.  Così si racconta:
“Non credo di aver fatti significativi progressi in alcunché, quell’anno, ma per la prima nella mia carriera scolastica un insegnante mi conferiva uno status; esistevo scolasticamente per qualcuno, come un individuo che aveva una linea da seguire, e che teneva duro. Sconfinata gratitudine per il mio benefattore, ovviamente, e benché fosse molto riservato, l’anziano signore divenne il confidente delle mie letture segrete”.
Come dice Vygotskj, bisogna aiutare i bambini a scoprire le proprie potenzialità:  fare questo vuol dire aprirli alla speranza e la speranza è apertura al “possibile”. La speranza attiva mette in movimento il tempo che abbiamo davanti che si apre alla realizzazione dei progetti costruiti sulla nostra persona e non modellati su stampi già precostituiti e come tali mai raggiungibili.
La valutazione può diventare per gli insegnanti una prigione in cui si gira a vuoto, preoccupati più di sanzionare chi non apprende, piuttosto che cercare soluzioni o semplici percorsi per aiutare i ragazzi a progredire. "La nostra pochezza è tale che riusciamo a cogliere dell’altro molto più spesso il limite, la negatività, la debolezza del tratto ‘negativo’, piuttosto che gli aspetti più luminosi.”
Emilia e Maria