Intervista a Fabio Geda



Fabio Geda è nato nel 1972 a Torino, dove vive. Si occupa di disagio minorile e animazione culturale. Scrive su Linus e su La Stampa . 
Ha pubblicato i romanzi Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani(Instar Libri 2007, Feltrinelli 2009, selezionato per il Premio Strega, Miglior Esordio 2007 per la redazione di Fahrenheit, vincitore del Premio Marisa Rusconi e tradotto in Romania e in Francia, dove ha vinto il Prix Jean Monnet des Jeunes Européens) e L'esatta sequenza dei gesti (Instar Libri 2008, vincitore del Premio Grinzane Cavour e del Premio dei Lettori di Lucca). 

Ad aprile 2010 è uscito il suo terzo romanzo Nel mare ci sono i coccodrilli.  Storia vera di Enaiatollah Akbari.  L’ultima creazione dell’autore è La bellezza nonostante. La bellezza nonostante è la storia di un maestro elementare, a cui come primo impiego viene proposto di insegnare nel carcere minorile Ferrante Aporti di Torino. 
Sono ormai molto frequenti i suoi incontri con i ragazzi a scuola. Ultimamente ho avuto modo di incontrarlo insieme ai miei ragazzi e ci ha concesso un’ intervista  per il nostro blog.




In tutti gli incontri che fai con i giovani studenti che idea ti sei fatto della scuola, ti sembra che sia un luogo dove si formano cittadini e dove c’è uno spazio per tutti?
Credo che la scuola sia quella che gli insegnanti, nonostante tutto, nonostante la fatica e la mancanza di risorse e il percorso a ostacoli cui la burocrazia li costringe, riescono a creare. I ragazzi non si sentono accolti se la scuola è bella, colorata e piena di computer (certo, anche questo aiuta) ma se incontrano degli adulti significativi, capaci di calare su di loro uno sguardo splendente di fiducia e curiosità, uno sguardo colmo di disponibilità. La scuola è anzitutto relazione. E la manutenzione di quella relazione dovrebbe essere al centro di ogni nostro interesse.  
“Un maestro in carcere dev'essere in grado di raggiungere tutti i ragazzi, ma proprio tutti, anche quello più indifferente, quello più spavaldo e arrogante, e persino il provocatore, che sfida, che disturba… Ciò che deve fare, un maestro in carcere, è sostituire la routine con altri percorsi che sappiano cattu­rare l'attenzione, che facciano sentire i ragazzi in grado di apprendere, e crescere, e mutare“.  Perché aspettare che un ragazzo sia in carcere per fare tutto questo?
Ovviamente non dovremmo aspettare che tutto questo avvenga in carcere, ma mettere in atto da subito, a partire dalla scuola pubblica, dalle elementari alle superiori, pratiche inclusive. Qual è il problema? Be’, credo siano tanti: ci sono problemi strutturali (mancanza di fondi e di personale, ad esempio), ma anche problemi che io definirei “vocazionali”: molti, forse troppi, docenti non vivono l’insegnamento come vocazione, come scelta, ma come ripiego; oppure se lo hanno vissuto come vocazione all’inizio hanno poi permesso al sistema di drenare l’ideale e lo hanno sostituto con una routine stanca e asfittica. 
Il poter godere o meno fino in fondo dei diritti è a volte legato a tante variabili: in quale parte dell’Italia si nasce, in quale città, in quale quartiere, da quale famiglia. Questo non solo in generale ma anche per quanto riguarda il tipo di scuola che si frequenta. Che idea ti sei fatto andando in giro in tante scuole diverse d’Italia?
L’impressione è che la forbice tra i licei e i corsi professionali sia sempre più accentuata. Stiamo ricadendo verso una scuola classista? Lo siamo sempre stati? Non saprei. Sarebbe interessante scoprirlo. 
Aprire le scuole alle iniziative culturali del territorio e quindi anche ad incontrare scrittori come te è importante. Ho constatato purtroppo che nella scuola abbiamo fatto molti incontri belli e significativi, ma che poi gli insegnanti attenti ai ragazzi hanno continuato ad esserlo e gli altri hanno continuato a non esserlo. Non pensi che bisognerebbe avere un progetto educativo su cui lavorare in modo collettivo come insegnanti, genitori, scrittori, e uomini di cultura e lottare perché si faccia strada in una scuola che oggi va in tutt’altra direzione? La scuola non dovrebbe essere per chi si sente democratico un bene comune da difendere? 
La risposta è: sì. Bisognerebbe lavorare in quella direzione. E c’è chi lo fa, nel silenzio del suo servizio quotidiano con i ragazzi. Dovremmo dare maggiore visibilità alle buone pratiche e metterle in rete.
Cosa secondo te la scuola deve dare ai ragazzi, quali sono le priorità, quale tipo di cultura?
Scelgo, tra i tanti obiettivi educativi, quello cui io tengo maggiormente: la capacità critica, rendere i ragazzi competenti nella comprensione e nell’analisi dei fenomeni (sia scientifici che sociali), dare loro gli strumenti per andare alla radice delle cose e poter scegliere in piena consapevolezza.  
Quando vai ad incontrare i ragazzi pensi di poter dare un contributo alla loro formazione o pensi che può bastare soddisfare le loro curiosità.? Mi chiedo cioè se è marginale o importante che un lettore dopo aver letto “Nel mare ci sono i coccodrilli” dica: quando incontro uno straniero lo vedo in modo diverso.
Fondamentale. In fondo è quella la magia della letteratura: ti cambia gli occhi. 
In questo blog cerchiamo di dire che la scuola riguarda tutti e che deve stare a cuore a tutti. Perciò essere democratici vuol dire anche “fare militanza”, lottare per una scuola che non perde nessuno per strada e si dà gli strumenti per raggiungere questo obiettivo. Pensi che sia solo un compito degli insegnanti che credono in questi valori o di tutti quelli che si sentono cittadini impegnati?
Come dite voi: la scuola riguarda tutti. In Afghanistan i Talebani hanno come prima cosa chiuso le scuole, perché se hai una battaglia culturale in atto il primo campo di battaglia è la scuola. La scuola è il futuro di una nazione. Se vuoi conquistare o distruggere o modificare il potere in una nazione il modo più efficace per farlo è agire sulle scuola. Vogliamo relegare in un angolo le donne? Impediamogli di andare a scuola. Vogliamo cancellare una certa tradizione? Chiudiamo le scuole che la tramandano. I Talebani sono arrivati a bombardarle, le scuole, per mettere paura ai genitori che così non mandavano più i loro figli. Dobbiamo difendere la scuola pubblica. Dobbiamo farlo tutti. 
Costanza