Bambini che abbandonano la scuola per andare a lavorare


Una società che dimentica i bambini non è una società democratica. Che bambini debbano lavorare ed essere sfruttati a 10, 13 anni è uno scandalo che dovrebbe farci mobilitare tutti. Non basta urlare per la scuola, bisogna anche capire cosa vogliamo che la scuola diventi. Se la scuola non cambia, non cambia neanche la società e viceversa. Ma è dai bambini che ogni nostro ragionamento dovrebbe partire, da tutti i bambini senza nessuna distinzione.
"Gennaro – scrive la giornalista di Le Monde – è stato assunto in un negozio di generi alimentari. Sei giorni su sette, per dieci ore al giorno, riempie scaffali, scarica le casse piene di prodotti  e consegna la merce in tutto il quartiere". Gennaro sognava di diventare un informatico, ma è un garzone di bottega, il mestiere più diffuso tra i bambini di Napoli. Lavora in nero, e quando tutto va bene guadagna cinquanta euro alla settimana. Gennaro ha appena compiuto 14 anni. La mamma avrebbe voluto un destino diverso per suo figlio, ma suo marito è morto di cancro e per sopravvivere è stata costretta a mandare suo figlio a lavorare. Anche lei lavora con altre disoccupate del suo quartiere e guadagna 45 centesimi all’ora, meno di suo figlio.
A Napoli, sono migliaia i bambini come Gennaro che lavorano. In Campania, secondo alcuni dati della Regione, tra il 2005 e il 2009 hanno abbandonato la scuola 54.000 ragazzi, e il 38 per cento avrebbe meno di 13 anni. Cosa fanno? Commessi, camerieri, barbieri, sono “ragazzi per ogni evenienza”. Tra di loro anche bambini. “Totò ha dieci anni, è un ragazzino, riccioluto dal corpo esile, e la sua strada è ormai segnata”.
Mario, 13 anni sogna di fare il pasticcere, ma non si può permettere di andare a scuola per imparare il mestiere, imparerà lavorando da una maestro pasticcere dodici ore al giorno: solo così facendo spera di potersi costruire un futuro.
Chi non trova un lavoro (naturalmente in nero), finisce nelle mani della criminalità organizzata.
"Si vedono - scrive Allegra - da tutte le parti, a lavorare in pieno giorno, nell’indifferenza generale". “Siamo sempre stati la regione più povera d’Italia, ma questo non si vedeva dalla fine della Seconda guerra Mondiale" commenta l'assessore al Comune di Napoli. “Ragazzi di dieci anni che lavorano già dodici ore al giorno, privati del diritto a crescere”. La crisi si è fatta sentire sotto il Vesuvio: la regione Campania, da giugno 2010 ha cancellato gli aiuti alle famiglie senza reddito, facendo precipitare nella miseria migliaia di persone che contavano su quel sussidio. I bambini sono i primi a pagare anche se preferiamo non soffermarci troppo su questo argomento.

Gennaro, Totò, Mario e tutte le altre migliaia di ragazzi come loro  hanno “tolto il disturbo” alla scuola che non si dovrà più occupare di loro.
Ho conosciuto Cesare Moreno, maestro di strada  di Napoli, che insieme ad altri si occupa di quei ragazzi che la scuola non ha saputo aiutare, anzi che in molti casi ha “tenuto fuori”. E giustamente, come dice la Gabanelli nel filmato che inserisco in questo post, siamo grati a lui e a quanti come lui fanno di tutto per recuperarli per dar loro un’altra chance. Sono grata alla sua compagna, purtroppo scomparsa pochi anni fa, che ha scritto un libro meraviglioso: "Insegnare al principe di Danimarca". Ma vorrei però che fosse la scuola a porsi il problema e ad assumersene la responsabilità di questi bambini e ragazzi, vorrei che si lottasse tutti insieme per una scuola che si attrezzasse per accogliere tutti bambini senza nessuna distinzione. 
La scuola deve essere il luogo che apre alla possibilità, se manca questo obiettivo vuol dire che la nostra società non si può ancora definire democratica.
La costituzione assume l' uguaglianza come suo principio essenziale ed allora come dice Gustavo Zagrebelsky “Noi non possiamo non vedere che la società è ormai divisa in strati e che questi strati non sono comunicanti. Più in basso di tutti stanno gli invisibili, i senza diritti che noi, con la nostra legge, definiamo "clandestini", quelli per i quali, obbligati a tutto subire, non c' è legge; al vertice, i privilegiati, uniti in famiglie di sangue e d'interesse, per i quali, anche, non c'è legge, ma nel senso opposto, perché è tutto permesso e, se la legge è d'ostacolo, la si cambia, la si piega o non la si applica affatto. In mezzo, una società stratificata e sclerotizzata, tipo Ancien Régime, dove la mobilità è sempre più scarsa e la condizione sociale di nascita sempre più determina il destino”.
L’educazione per tutti non può essere un elemento di contrattazione, invece un diritto fondante della nostra democrazia, non discutibile, ma esigibile.
Se si esce da questo principio fondante ci troviamo di fronte al “darwinismo applicato alla vita sociale, un’ideologia crudele che legittima il dominio dei più forti e abbandona i deboli alla loro sorte di emarginazione, alla fine li condanna alla sparizione e giustifica questa “selezione naturale” della “zavorra” in base al beneficio che ne viene per l’organismo sociale”.