"ma lo fanno tutti..."


I ragazzi sanno essere cattivi fra di loro. Elisa non vuole sedersi vicino a Carlo e si mette a piangere. L’insegnante la rimprovera e le dà della razzista perché il ragazzo in questione è romeno. Se lo dice lei, tutti gli altri ragazzi, si accodano ed Elisa diventa per tutti una razzista. La ragazza si chiude a riccio, come era solita fare. Siamo in prima media ed Elisa che aspettava un cambiamento rispetto al passato in cui era sempre presa di mira, comincia a credere che anche questi anni saranno duri per lei. Io un giorno, vedendola sempre triste e taciturna, l’affianco e le chiedo cosa succede. Mi racconta i fatti e mi spiega che le fa molto male sentirsi dare della razzista, lei non lo è mai stata. Mi dice che non voleva stare vicino a Carlo, perché lui la prendeva sempre in giro davanti ai compagni, facendo battute pesanti sul suo aspetto fisico e confronti con le altre ragazze. Lei certo non si sente bella e questo la ferisce ancora di più.
Prendo allora Carlo e gli chiedo il perché di questo atteggiamento, lui mi risponde che scherza, che tutti si prendono in giro, che lo fanno tutti.


Cosa possiamo rispondere ad un ragazzo che si giustifica dicendo "Lo fanno tutti"? La prima domanda che gli pongo è "tutti chi?" "Il gruppo dei miei amici", la seconda domanda è "Perché tu hai scelto di stare con loro e di fare come loro? Tu non esisti come persona?".
Vedo che la prima domanda lo imbarazza, perché si rende conto che deve fare dei "nomi" di amici, che potrebbero essere chiamati in causa. E risponde "Non voglio fare la spia".
Carlo, con il suo modo di fare, segue una regola implicita che guida non sempre solo i ragazzi: appunto "lo fanno tutti", quindi nessuno ha colpa. Il gruppo ti protegge e, in questo modo, nasconde bene la  tua responsabilità personale.
La prima cosa che non dobbiamo consentire è il gioco dello "scaricabarile" e dobiammo aiutare i ragazzi ad assumere su di sé la responsabilità delle proprie azioni indipendentemente dal coinvolgimento di altre persone.
E partendo dalla responsabilità personale, dandogli la dignità di individuo capace di decidere in modo autonomo, lo si aiuta a prendere in considerazione di domanda in domanda quali possono essere le conseguenze delle proprie azioni.
Quando sarà pronto, lo potremo aiutare a non sentirsi parte di un ingranaggio (il gruppo) alle cui regole  non  ci si può sottrarre e lo aiuteremo a trovare la forza dell’autonomia anche se questa a volte può costare momenti di solitudine.
Una solitudine che, come dice la Arendt, è necessaria per imparare a "vivere-con-se-stessi".
"Essere con se stessi e giudicare se stessi è qualcosa che concerne il pensiero, e ogni processo di pensiero è un'attività in cui io parlo con me stesso di tutto quanto accade e mi riguarda".
Solo in questo modo può iniziare un cammino attraverso la riflessione su di sé a cui bisogna abituarli. Solo il pensiero può aiutarli a capire chi sono davvero e verso quale direzione possono andare, ad acquisire la consapevolezza che quando prendono in giro qualcuno è per lo meno una loro scelta di cui assumersi la responsabilità e forse prima di tutto prendono in giro se stessi, perché hanno rinunciato al pensiero su di sé, su chi vogliono essere o diventare e al pensiero di se stessi nei confronti degli altri .
Emilia e Maria