Sì, io sono uno scarabocchio, e tu?


Sì, io sono uno scarabocchio,
io lo sono, ma lo sei anche tu, e tu, e tu…

Tutti siamo scarabocchi.
Siamo tratti confusi,
colori mescolati, linee incise nel vento
che si incontrano o si spezzano.
Non siamo tutto… Forse un po’ di tutto.
In me c’è un po’ di cielo, un po’ di sole,
nuvole e pioggia, notte e giorno, parole e silenzio.
Siamo come gli scarabocchi, irripetibili,
complicati, strambi, originali, confusi…
tutti speciali.
Non siamo un “che cosa” ma siamo un “chi”.
Non c’è cornice che ci contenga,
né descrizione che ci comprenda



Con il titolo "Io sono uno scarabocchio e tu?" le due attrici Adriana Zamboni, Manuela Massarenti, dal testo di Emilia De Rienzo, hanno messo in scena una piece teatrale.
Così si aprirà il convegno del 10 marzo a Reggio Emilia il cui programma lo puoi vedere qui
In questo lavoro abbiamo voluto raccontare quanto ogni individuo sia paragonabile ad uno “scarabocchio” in quanto traccia significativa, unica ed irripetibile.
Uno scarabocchio è composto da tratti geometrici, da colori e linee variamente combinate fra di loro che “raccontano” la complessità di ogni individuo e il suo bisogno di presentarsi all'altro così com'è. Ma lo scarabocchio ci trasmette anche la difficoltà di ogni individuo a comprendere anche se stesso.

Così racconta una ragazza di scuola media in un suo lavoro scritto:
La mia vita è un vero e proprio pasticcio, non so neppure io, a volte, quali siano i miei problemi, se di una cosa sono contenta o triste. A volte, quando penso di essere finalmente felice, è come se si abbattesse un muro di acciaio tra me e la felicità. Quando ero più piccola e, fino a poco tempo fa, pensavo di essere l’unica ad avere dei problemi, però per fortuna, ho capito di non essere la sola e che la vita stessa è un problema. La cosa peggiore è che non so nemmeno io cosa voglio e quello che penso. Pensavo di conoscermi e soprattutto di conoscere la vita mami accorgo di non sapere quasi nulla.          
Bisogna aiutare i ragazzi a dar voce a ciò che sentono. Difficilmente lo faranno in modo diretto, difficilmente hanno all'inizio quella capacità di “raccontare se stessi agli altri”, perché è tipico del loro modo di essere anche la “riservatezza” e  la mancanza di parole per esprimere i loro sentimenti. Hanno bisogno di spazi in cui condividere,  sperimentare che “si può dire”, che anche altri sentono lo stesso disagio e hanno le stesse paure, che si può “condividere”.
Capiranno che la fragilità, il dubbio, la paura, la contraddizione sono di tutti e ci si può aiutare. 
Lo Scarabocchio raccoglie le testimonianze di ragazzi che hanno raccontato se stessi e, confrontandosi fra di loro, sono cresciuti “insieme”.
Parola e disegno sulla scena si alternano e si intrecciano accompagnati dalla musica: lo Scarabocchio prende forma. Prendono vita le testimonianze, quelle di ragazzi che hanno trovato nella classe, che hanno frequentato, uno spazio dove imparare non solo nozioni, ma anche a parlare ed ascoltare, a condividere.
Il desiderio che anima ognuno è quello di sentirsi riconosciuto nella propria individualità, qualsiasi storia abbiano alle spalle.
La narrazione non incasella, non imprigiona l’individuo nella “definizione”, “rivela il finito nella sua fragile unicità” e lo valorizza.