Scuola oggi: impressioni di una studentessa

Frequento la scuola pubblica da quando sono nata: a sei mesi andavo già al nido e ho appena terminato il nono anno di scuola dell'obbligo (a settembre inizierò la seconda superiore). La scuola fa parte della mia vita da sempre, mi ha accompagnata nella crescita fin dall'inizio, offrendomi un mondo parallelo alla famiglia, dove relazionarmi con i coetanei e con adulti diversi dai miei genitori. Posso quindi dire di conoscere bene la scuola pubblica, nei suoi pregi e nei suoi difetti, almeno dal punto di vista dello studente.
Durante questi anni ho avuto la fortuna di incontrare ottimi insegnanti, che hanno saputo stimolare il mio interesse spingendomi ad approfondire certe materie rispetto ad altre: molti ragazzi non hanno le idee chiare, qualsiasi materia può rivelarsi interessante se l'insegnante è preparato e disponibile a mettersi in gioco e a confrontarsi con i propri allievi. In questo senso è molto importante la comunicazione, l'avviarsi di un dialogo tra studenti e docente: le due parti dovrebbero venirsi incontro e collaborare maggiormente. Mi sembra invece che nelle classi manchi un'idea di scambio, di lavoro comune: i ragazzi guardano al prof. come a un “nemico” e spesso per loro la scuola non è un luogo dove potersi esprimere.
Chi, poi, ha maggiore difficoltà a stare al passo con le lezioni (magari a causa di problemi familiari o linguistici) trova sempre meno spazio in una scuola ogni giorno più competitiva, impostata per selezionare le cosiddette eccellenze e non per garantire a tutti un'istruzione di base. E’ per questo motivo che sempre più studenti abbandonano gli studi o vengono bocciati più volte: mentre i problemi dei ragazzi restano quelli di sempre, la scuola cambia, perdendo la sua funzione di sostegno sociale e trasformandosi in un'istituzione sempre più esigente e di difficile accesso. A poco servono gli sforzi e gli aiuti degli insegnanti: di fronte a test e prove comuni sempre più schematiche e selettive, qualsiasi studente si trova in difficoltà. Prendo ad esempio la mia classe di quest'anno: tra i cinque bocciati e i sei rimandati, la maggior parte di loro ha problemi linguistici o difficili situazioni familiari alle spalle. I professori sono stati molto pazienti e sono sempre andati incontro agli studenti più problematici, ma con l'aumentare del ritmo di studio e con la crescente difficoltà dei compiti in classe, per questi miei compagni è stato impossibile superare l'anno.
In parte capisco che chi non riesce a raggiungere un certo livello di conoscenze durante l'anno scolastico ripeta una classe: farlo proseguire nonostante le difficoltà sarebbe peggio. Eppure, osservando il caso dei miei compagni, nessuno di loro deve la propria bocciatura a incapacità o disattenzione, bensì a problemi personali. È giusto che un ragazzo paghi le conseguenze di errori o situazioni difficili dei quali non è responsabile? Come si deve comportare la scuola in questo caso?
Per ora la mia unica certezza è che, nonostante l'ambiente della scuola sempre più tenda a contrapporre i due attori principali, la solidarietà tra insegnanti e studenti  si sviluppa lo stesso e rende formative anche queste esperienze difficili.
Rita Bertani ( studentessa di quinta Ginnasio)