Sabino: nulla da segnalare

Continuiamo la serie delle interviste, questa volta diamo la parola al racconto di Laura, un'insegnante di scuola media:

Sabino è un ragazzo che non si fa mai notare. Esegue i compiti, è attento. Non è particolarmente brillante, ma fa il suo dovere. E’ molto rispettoso. Non fa amicizia facilmente, ma nello stesso tempo ha compagni con cui va d’accordo. Tutto bene, quindi. Come si è soliti dire: nulla da segnalare.

Un giorno prende un’insufficienza, ma anche questo non desta certo preoccupazioni. Capita a tutti di sbagliare un compito o di non sapere ad un’interrogazione. Ma la cosa che mi fa pensare il giorno dopo è la firma della madre sotto il voto della verifica che non mi sembra la sua. Ma non dico nulla e aspetto. Poco tempo dopo la professoressa di matematica è molto arrabbiata perché Sabino ha bianchettato una nota.
“Zitto, zitto, stai facendo il furbo, ma non riesci a prendermi in giro!” gli dice davanti a tutta la classe. Lui non pronuncia una parola e questo manda ancora più in bestia la mia collega: “Ma non provi almeno un po’ di vergogna?” Silenzio assoluto. Lascio passare la giornata e il giorno dopo lo chiamo e lo porto in un'aula vuota per stare un po' tranquilli io e lui.
“Siediti un momento” gli dico e con estrema calma gli chiedo se ha qualcosa da raccontarmi. “Ho fatto una cavolata”, mi risponde con l’atteggiamento di chi vuole chiudere in fretta il discorso. “Non è di questo che voglio parlare, tutti possono  sbagliare. Non è questo il problema. Quello che mi interessa è sapere come stai tu. Non abbiamo fretta, Siamo soli qui, nessuno sente nulla. Tenersi dentro i problemi non fa bene”.  Lui si chiude e tace, ma le lacrime escono senza che lui riesca a controllarle. Aspetto in silenzio. Lui riesce a riprendere il controllo di se stesso: “Non so cosa dire” mi dice. “Non devi dirmi nulla, ma, se hai voglia o senti il bisogno di dirmi qualcosa in qualsiasi momento io ci sono, anche se vuoi che ti aiuti a rimediare gli ultimi voti negativi”. “grazie”, mi risponde e torna in classe.
Il giorno dopo mi chiede se posso rispiegargli dei complementi di analisi logica che non ha capito. Torniamo nella classe vuota e apriamo il libro di grammatica e gli chiedo cosa non gli è chiaro.  Ad un certo punto lui mi dice “sono triste, molto triste”, io taccio, poi gli chiedo se vuole dirmi perché. Sento che devo andare con passo leggero, non devo dargli l'impressione di volere a tutti costi che lui racconti: è lui che deve scegliere cosa dirmi. Le lacrime scendono di nuovo sul suo viso. Poi dopo qualche minuto mi dice: “mia mamma è in ospedale”. “E' stata operata?” gli chiedo, lui fa cenno di no. Capisco che si tratta di un altro tipo di male e finalmente ne parla: “Soffre di depressione e io non so cosa fare per lei”. Capisci in quei momenti che le parole sono sempre inadeguate. Gli dico comunque che lui non può far nulla per sua mamma, forse può fare qualcosa per se stesso. E' così che comincia un dialogo, interrotto qua e là dalle lacrime. Ma un varco si era aperto tra me e lui. Ora io so e questo lo aiutava a sentire più leggero il carico che pesa dentro di lui come un macigno. Condivide ciò che teneva segreto al mondo che non poteva capire. Adesso so perché i suoi occhi erano così tristi, cosa gli pesava sul cuore.