Era di maggio...



Era di maggio,
di quel maggio caldo e profumato che nella mia terra di  Sicilia ci fa sentire nuovi e pronti al rinnovamento. Avevo i compiti da correggere, e mi sono organizzata invitando mio marito a portare alla villa cittadina i miei figlioli, ancora bambini. Io, me ne stavo buonina tra le mura domestiche e in silenzio, sola con me stessa, cominciavo a correggere i compiti. Insegnavo alla scuola media a quel tempo e l'anno scolastico stava per imboccare l'ultimo tratto.
Uffa, il tepore di maggio, il profumo di primavera e.... una gran voglia di fragolata con panna di quelle buone, superlative che alcune gelaterie di prestigio della mia città sanno preparare a maggio.... ma dovevo correggere i compiti. Sì, è mio dovere, ma da quanto tempo a maggio non esco di casa, tappata, anzi seppellita da una montagna di carta, devo, da sempre, ritagliarmi spazi e tempi, che sottraggo alla mia famiglia e a me stessa, perchè il dovere mi chiama.
Ma tant'è, è inutile che stia a recriminare, mettiamoci al lavoro e un compito dopo l'altro le ore passano, ma il lavoro è fatto....
Intanto era tornato mio marito, sentivo i passetti veloci dei miei bambini. Ero proprio contenta, ce l'avevo fatta a finire di correggere prima che tornassero.
Mio marito mi raggiunse al tavolo da lavoro e, sfiorandomi la guancia con un bacio, mi disse che a Palermo doveva essere successa una cosa grave, che si rincorrevano notizie strane, che avevano ammazzato qualcuno. Un altro, pensai. Accendemmo la televisione:
"HANNO AMMAZZATO FALCONE".
Da allora qualcosa cambiò, cambiò dentro di me, cambiò (lo spero con tutto il cuore) per tanta gente della mia Sicilia.
L'indomani ne parlai a scuola, parlai dell'orrore avvenuto nella nostra Sicilia e qualche ragazzino sembrò indifferente, qualcun altro mi disse che Falcone se l'era cercata. Cominciai a capire che io per prima dovevo cambiare.
Cominciai a capire che il mio lavoro d'insegnante non era quello che appariva all'esterno, che avevo un compito che il mio ruolo di docente mi assegnava e che questo compito non poteva essere ridotto ad un lavoro di travet della cultura, non poteva essere nè quantificato in tempi, nè codificato entro le "18 ore" di canonica memoria.
IO SONO UN'INSEGNANTE
e un'insegnante è come un pilota d'aereo, un pilota che guida verso il futuro un Boeing scassato a cui mancano tante strumentazioni e a cui bisogna mantenere la pressurizzazione appiccicando lo scotch attorno agli oblò dei finestrini. Ma l'ebbrezza di riuscire a trasportare le nuove generazioni verso il futuro è un grande dono.
E va bene! Diceva Voltaire, che se vogliamo cambiare il mondo dobbiamo cominciare a coltivare il nostro orticello, cioè a prenderci cura di quella porzione del mondo che ci circonda, ed io come insegnante sento forte e significativo questo mio dovere, che interpreto in senso kantiano.
E non mi importa se ogni tanto lo scotch manca, non mi fermo se qualche scossone fa vibrare il mio boeig, ma la torre di controllo no! quella non può andare contro al mio lavoro di pilota, altrimenti perdiamo quota, altrimenti rischiamo di schiantarci.
Ed ultimamente la torre di controllo sembra abitata da gente ubriaca o da gente che di voli aeri non sa nulla, gente che mortifica il lavoro delicato del docente, che non capisce che il futuro di tutti noi passa dalla scuola, che non si rende conto che la scuola non può essere ingabbiata da 18 ore e da programmi standard, che la scuola, la scuola pubblica, ha un dovere che passa attraverso i programmi che, dunque, non può essere ridotto al solo insegnamento dei programmi, e questo dovere è quello prescritto dalla Costituzione:
LA SCUOLA HA IL DOVERE DI CAMBIARE I SUDDITI IN CITTADINI.
Forza Torre di Controllo, ce la possiamo fare a far decollare l'Italia, ma non sparate sul pilota.
Tina Petrolio