Il problema del quattro

La scuola sta chiudendo i battenti e molti andranno in ferie. Vi ringraziamo per la vostra presenza e simpatia. 
Noi continuiamo il nostro viaggio lasciandovi delle letture qua e là. La prima che vi proponiamo è tratta dal libro di Bencivenga: La filosofia in cinquantadue favole.


II problema del quattro


Un giorno il numero quattro si stancò di essere pari. I numeri dispari, pensava, sono molto più allegri e spiritosi. E si stancò di quella sua forma un po' insipida, a sediolina. Guarda il sette, si diceva, com'è svelto ed elegante, e il tre com'è tondo e arguto, e io invece sono tutto pieno di angoli e privo di personalità. E si stancò di essere due più due, che tutti lo sanno e anzi quando vogliono dire una cosa che sanno tutti dicono: «Quanto fa due più due?». Sognava di essere un numero lungo e difficile, di quelli che tè li dimentichi sempre e se li vuoi sommare devi prendere carta e matita.
Certo era un bei problema, perché non è che il quattro volesse diventare un altro numero, che so io? il cinque, o il 1864372. Lui voleva essere lui, rimanere se stesso, eppure voleva anche essere come il cinque, dispari cioè, o come il 1864372, cioè lungo e difficile. E sembra proprio che il quattro non possa essere dispari e non possa essere lungo e difficile, oppure non sarebbe il quattro. Sarebbe un'altra cosa, e lui non voleva essere un'altra cosa: voleva essere lui, solo un po' diverso.
Un problema così il quattro non sapeva risolverlo. Forse non aveva neanche una soluzione. Se ce l'aveva, però, il Grande Matematico doveva saperla. Così il quattro andò dal Grande Matematico e gli espose il suo caso. Il Grande Matematico sorrise. Anche lui una volta avrebbe voluto essere diverso: non un altro, ovviamente, perché voleva rimanere se stesso, ma un po' più simile al Grande Ballerino, o al Grande Tennista, o al Grande Centravanti. Anche lui quindi aveva avuto il problema del quattro e sapeva come affrontarlo. Lo fece accomodare per terra (una sedia sarebbe proprio stata inutile!) e cominciò a parlargli.
«Vedi, quattro» gli disse «non c'è bisogno di diventare diverso, di essere dispari per esempio, oppure lungo e difficile. Non c'è bisogno perché tu sei già diverso, anche se non tè ne rendi conto. A tè sembra di essere una stupida sediolina che fa due più due e tutti lo sanno, e invece ci sono in tè cose che nessun altro ha, cose molto speciali. Per esempio, tu sei due più due ma anche due per due, e anche (qui andiamo sul difficile) due alla seconda. E questo è un fatto del tutto straordinario: tre più tre non è anche tre per tre, e certo non è tre alla terza. Oppure prendi quest'altra: quattro per quattro sommato a tre per tre fa cinque per cinque, il che vuoi dire che tre, quattro e cinque sono una famiglia di numeri pitagorici consecutivi, e di famiglie così non ce ne sono altre. Il sette, che tu ammiri tanto, non ne ha una. Oppure...»
Ma a questo punto il quattro era un po' confuso e pregò il Grande Matematico di smettere. Quella faccenda dei numeri pitagorici non la capiva proprio e voleva pensarci su, perché gli sembrava importante. Se ne andò, e da allora è sempre lì che conta. Ha capito i numeri pitagorici e molte altre cose ancora, e ogni giorno scopre di essere più diverso.