Nel labirinto dell'intelligenza di Hans Magnus Enzensberger


"Viviamo nel timore di essere stupidi – dice Hans Magnus Enzensberger nel suo libro "Nel labirinto dell'intelligenza" - verificando di continuo il nostro quoziente intellettivo. Ma la possibilità di misurare l’intelligenza umana è solo una chimera. Perché la verità è che non siamo abbastanza intelligenti per capire cos’è l’intelligenza. Fatto sta che dagli inizi del Novecento siamo ossessionati dalla sua misurazione, nella convinzione che sia possibile calcolarne presenza e quantità con precisione scientifica".
E’ nato così il concetto di quoziente intellettivo, la presunzione della psicometria. Sullo sfondo l'ambizione di selezionare i migliori. Ma l’autore ci dimostra pagina dopo pagina come tutto questo sia un’illusione pericolosa. L’illusione che ci ha fatto credere di poter misurare ciò che misurabile non è.
“Probabilmente ogni società umana sviluppa il proprio catalogo delle virtù, nel quale elenca le qualità che ritiene appetibili, anche se non tutti sono in grado di conseguirle. La quotazione di queste virtù oscilla. A scorno di chi se ne duole, l’epoca moderna non ha mai tenuto in gran conto virtù antiche medioevali quali la fedeltà, il coraggio, la saggezza, l’umiltà e la cavalleria. Per essa valgono piuttosto, come virtù cardinali, la flessibilità, la capacità di fare squadra e di essere vincenti. Ma soprattutto, chi intende essere al passo con i tempi deve essere assolutamente intelligente”
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Già, ma quale intelligenza? In questo divertente librettino Enzensberger passa in rassegna le avventure del concetto di intelligenza, da Wundt a Guilford, da Binet a Eysenck. Proprio quest'ultimo è l'autore di un test di IQ, del 1962, tuttora diffuso nel mondo. Ma cosa si può misurare? Si può davvero verificare tutto ciò che può entrare nel capitolo intelligenza o solo alcuni aspetti molto ridotti? E’ possibile attribuire un numero alla sensibilità estetica, politica o sociale, alla capacità di comprendere gli altri, di dialogare, di argomentare?
Dopo un’esame attento e ironico dei test di misurazione l’autore ci dice: “…si richiedono costantemente prestazioni che trovano il loro campo di allenamento nell’angolo di enigmistica di molti settimanali. In queste rubriche assai seguite non è però questione di IQ, bensì di un innocuo divertimento, inteso come ginnastica mentale o arzigogolare”.
Comune a tutti i quesiti enigmistici posti dal test è il fatto che di norma consentono solo una risposta esatta: cosa in effetti abbastanza strana; perché nel mondo reale le situazioni del genere rappresentano l’eccezione. (…) sempre entrano in gioco parecchie variabili che per di più sono vicendevolmente interdipendenti. Insomma le scelte sono complesse”.
E  Enzensberger conclude  che "un’eccelente valutazione in questi test può avvenire con un una estremamente ridotta capacità di percezione, con un rapporto precario con l’estetica, e con una sorta di estraneità dal mondo alla quale manca ogni riferimento alla vita reale”.
Una delle più lucide confutazioni del tentativo di misurare l'intelligenza è quella del grande biologo S.J. Gould che dimostra (in The Mismeasure of Man, 1981) l'impossibilità di quantificare un fenomeno così complesso e pluridimensionale. Aveva ragione lo psicologo E.G. Boring quando enunciò, nel 1923, la seguente definizione "Intelligenza è ciò che i test dell'intelligenza testano"!
Forse alla luce di queste parole dovremmo ripensare anche il metodo di valutazione a scuola che per non rischiare di essere soggettivo rischia di voler essere troppo “oggettivo”, non a caso l’uso di test sta dilagando a discapito di tante altri modi di valutare ciò che un ragazzo sa o non sa… Già che cosa si chiede allora di sapere ai nostri studenti? Cosa vale 6, cosa 7, cosa 3… Bisognerebbe che ce lo dicessero.
Enzensberger ci invita ad immaginare che a “testare” l’intelligenza su un qualsiasi ricercatore di Stanford, di Londra o di Berlino siano uno psicologo della Groenlandia, un indio dell’Amazzonia o un navigatore della Polinesia: che cosa credete che succederebbe? se quella gente valutasse le sue facoltà intellettive circa la capacità di distinguere migliaia di piante, di identificare impronte o di captare correnti sottomarine?
Claude Levi-Strauss proprio a proposito delle capacità cognitive immagina una sfida tra un giovane “selvaggio” in grado di riconoscere centinaia di specie vegetali e un ragazzo delle metropoli che forse non arriverebbe nemmeno alla decina.
Ma se volete divertirvi digitate “quoziente intellettivo” su google e vedete cosa ne viene fuori…