Intelligenza e creatività

Ero alla stazione e aspettavo che una mia amica scendesse dal treno proveniente da Roma. Ho sentito qualcuno chiamarmi: Professoressa… Era Luca, un ragazzone alto e bello che era stato mio allievo anni fa. E' corso da me e mi ha abbracciato forte.
“E’ sempre la stessa - mi ha detto. Poi allontandosi un po' per guardami meglio aggiunge: - "però, la ricordo molto più alta!”
“Forse sei tu – gli rispondo divertita – che sei diventato molto più alto!” "già, è vero, sono io che sono cresciuto".
Ci siamo fermati a raccontarci quel pezzo di vita che non avevamo “frequentato” insieme.


Lo ricordo, Luca, sempre a guardare il cielo. Lo chiamavo e lui sembrava risvegliarsi da un sogno. Io avevo l’ingrato compito di riportarlo alla realtà, quando sarei volata anch’io con la mia mente in quel pezzo di cielo su cui si perdeva il suo sguardo e che si intravedeva in mezzo a tutte le case che circondavano la scuola.
Fuggiva con la mente Luca… ma i luoghi in cui andava e che spesso mi raccontava erano sempre magici. Io mi incantavo ad ascoltarlo forse più di quanto io incantassi lui con la mia analisi logica.
I compagni lo chiamavamo tutti Peter come il protagonista del romanzo di Ian McEwan, L’inventore di sogni, scritto nel 1994 e che avevamo letto insieme in classe.

Anche Peter è un bambino un po’ spaesato che si astrae dalla realtà e vive nella sua mente strane avventure. I suoi sogni non sono una vera e propria evasione, ma un modo per affrontare in maniera più consapevole la vita. E nei suoi sogni spesso si animavano le cose che lo circondavano.
Gli oggetti possono rivelarsi agli occhi di un bambino carichi di un simbolismo e di un potere che l'età adulta non sa più riconoscere. I sogni di Peter sono popolati anche di paure: la paura del male, dei mostri, del dolore e della morte. Tutto però è espresso in maniera lieve, senza drammaticità. Crescere significa anche conoscere le proprie paure e imparare a convivere con esse.
Proprio attraverso l’immaginazione, il gioco, l’immedesimazione i bambini imparano ad affrontare la propria esistenza con le sue difficoltà. E così faceva Luca che coll’immaginazione e la fantasia imparava ad affrontare una realtà che spesso gli era ostile, perchè non sapeva capirlo. Anche quando veniva rimproverato duramente per la sua distrazione dagli insegnanti, lui sorrideva, come se nulla di quello che gli accadeva intorno gli appartenesse veramente.
Io, qunado lo vedevo allontanarsi troppo dalla realtà gli sedevo accanto e gli chiedevo: dove sei? Luca, allora,  mi raccontava i suoi pensieri che diventavano storie bellissime piene di fascino. Scriveva bene, ma io sapevo con molta chiarezza che la sua originalità, il suo modo di impostare un lavoro, non sarebbe mai stato accettato. E così mi sforzavo di aiutarlo a capire che non poteva scappare da ciò che gli veniva richiesto, che così rischiava molto.

Di Peter Fortune, il protagonista del libro, i grandi dicevano che era “un bambino difficile. Lui però non capiva in che senso. Non si sentiva per niente difficile. Non scaraventava le bottiglie del latte contro il muro del giardino, non si rovesciava in testa il ketchup facendo finta che fosse sangue, e neppure se la prendeva con le caviglie di sua nonna quando giocava con la spada, anche se ogni tanto aveva pensato di farlo. (…) Fu solo quando era ormai già grande da un pezzo che Peter finalmente capí. La gente lo considerava difficile perché se ne stava sempre zitto. E a quanto pare questo dava fastidio. L'altro problema era che gli piaceva starsene da solo. Non sempre naturalmente. Nemmeno tutti i giorni. Ma per lo piú gli piaceva prendersi un'ora per stare tranquillo in qualche posto, che so, nella sua stanza, oppure al parco. Gli piaceva stare da solo, e pensare i suoi pensieri”.
Di Luca dicevano che non era "molto giusto", che non sapeva stare attento, che non avrebbe mai concluso nulla nella vita …E i voti negativi si accumulavano senza pietà. Io lo guardavo e sapevo, o per lo meno, speravo che prima o dopo avrebbe saputo dimostrare quanto valeva.
Ha ragione Peter quando dice “Il guaio è che i grandi si illudono di sapere che cosa succede dentro la testa di un bambino di dieci anni”. Nel caso di Luca gli anni erano undici.

Ora Luca era davanti a me… Il suo sorriso caldo era ancora ingenuo, dolce. I capelli lunghi e biondi. I suoi occhi mi guardavano con affetto.
“E allora ce l’hai fatta ad uscire dalla scuola?”gli ho chiesto.
“Sì, ce l’ho fatta” mi risponde, “ma non ho mai rinunciato a sognare…” mi dice con allegria.
“E non farlo mai, non lasciare che nessuno te lo impedisca…”, gli rispondo.
Mi dà un bacio e se ne va con quella sua aria un po' svagata e la sua camminata dinoccolata, poi si volta e mi grida “Ci vediamo prof…”.
Poi al cellulare compare un messaggino: "mi faccia uno squillo, così so come chiamarla". Obbedisco...
Mi ha richiamato ed un giorno è venuto a trovarmi con altri suoi compagni: con loro avevano portato le loro inseparabili chitarre.

Il mio Luca oggi compone canzoni e ogni canzone è davvero una poesia…

Un alunno intelligente è in grado di ordinare in poco tempo molte informazioni. Un alunno creativo spesso tende ad elaborare in modo personale le informazioni che riceve e può diminuire la velocità con cui apprende le nozioni che gli vengono fornite.
"L'intelligenza è una forma di pensiero convergente in grado cioè di ordinare nel minor tempo il massimo di informazioni. La cretività è una forma di pensiero divergente che, di fronte all'ordine insegue un'idea che porta al discorso ad un altro livello dove è possibile un ordine superiore, ma dove è anche possibile naufragare. La scuola italiana offre nelle letterature e nelle scienze una galleria di pensiero divergente. (...) Il metodo scolatico così come è organizzato premia il pensiero convergente, il linguaggio omogeneo, 'la classe da portare avanti. Gli insegnanti sembrano desiderare la creatività degli alunni, ma sono spesso nell'impossibilità di favorirli...", il programma incombe, così dice Umberto Galimberti e Luca era un esempio lampante. Ma è il caso di tanti artisti e uomini di cultura.

E la velocità, la fretta regna nella nostra scuola. Una delle domande più comuni tra insegnanti, almeno nelle scuole in cui ho insegnato, era: "Dove sei arrivata con il programma?".