Nabil e l'angelo caduto

Fino all’anno scorso ho lavorato in un doposcuola all’interno di un complesso di case popolari, abitato in maggioranza da famiglie economicamente disagiate. Grazie alla collaborazione di un’associazione di studenti universitari, abbiamo organizzato durante l’anno alcune visite a musei per far conoscere ai bimbi del doposcuola, italiani e figli di immigrati di ogni parte del mondo, il patrimonio storico e artistico della città. Poiché l’associazione degli universitari aveva messo a disposizione per questo progetto delle risorse economiche, non ci è sembrato vero poter offrire ai bimbi non solo il biglietto d’ingresso ai musei, ma anche le visite guidate appositamente organizzate per le scolaresche.
Una delle prime uscite è stata al museo del cinema, che distava pochi isolati dal nostro doposcuola. Potevamo quindi andare a piedi, cinque accompagnatori e una quindicina di bambini. Ci siamo incamminati, ogni accompagnatore tenendo per mano i suoi tre bimbi. Io, la più anziana d’età e riconosciuta dai genitori come la responsabile del progetto, ero un po’ agitata. Temevo che nel tratto di strada da percorrere i bimbi si disperdessero mettendosi in situazioni di pericolo.
Avevo addirittura fantasticato nei giorni precedenti di legarli in cordata, come si fa in montagna nelle ascensioni pericolose. Nelle mie più cupe previsioni, li vedevo scorazzare per le sale del museo, spintonando i visitatori e danneggiando irreparabilmente antiche lanterne magiche…
Ma durante il cammino le mie ansie si erano placate, i bambini a gruppi di tre seguivano il loro accompagnatore. Io da un lato tenevo per mano Nabil, un bimbo di sette anni sempre attento e concentrato quando si tratta di andare alla scoperta di cose nuove. Camminando tra le case addossate alla Mole, ancora invisibile ai nostri occhi, in febbrile attesa che girato l’angolo si stagliasse davanti a noi, gli raccontai la storia dell’angelo caduto: “Tanto tempo fa sulla punta della Mole è stato posto un angelo. Alcuni anni dopo, durante un violento temporale, un fulmine si è abbattuto sulla Mole e ha colpito l’angelo, che è caduto. Da allora sulla punta non c’è più l’angelo, ma una stella”.

Poco dopo la fine del mio racconto, ecco la Mole imponente davanti a noi! Veloci pratiche burocratiche, verifica della prenotazione, numero esatto dei biglietti per i bambini e gli accompagnatori ed entriamo in questo spazio ampio, pieno di stimoli visivi, uditivi, tattili. Veniamo affidati ad una giovane guida che cerca di fare del suo meglio per catturare l’attenzione dei bambini, dispersa tra quei mille stimoli, e raccontarci la nascita del cinema, il funzionamento dell’occhio umano, la percezione continua di singole immagini in movimento.
Le mie previsioni non erano così sbagliate: i bambini ben presto diventano molto irrequieti, fanno fatica a seguire il discorso della guida, tendono a correre nelle stanze successive, perché avvertono altri suoni altre luci, e poi c’è quella grande sala che li attrae. Una ragazzina, dopo aver dato il meglio di sé nell’ignorare le parole dellaguida e nel correre da una stanza all’altra, mi chiede di uscire fuori, all’aperto, perché non ce la fa più. Vuole ritornare a casa. Senza apparentemente scompormi, la faccio accompagnare fuori da una volontaria dell’università. Le dico di aspettarci su una delle panchine all’uscita. Riappare con la volontaria dopo una quindicina di minuti, e ho ancora la forza per farle una carezza e dirle: “Sono contenta che sei tornata”.
Ma anch’io sono molto frastornata e non vedo l’ora che la visita finisca. Un po’ di tregua sulle comode poltrone imbottite del museo a cercare di vedere due film contemporaneamente e si riparte per tornare a casa.

Durante il ritorno chiedo a Nabil, che tengo di nuovo per mano: “Allora, cosa ti è più piaciuto del museo del cinema?” E lui, candido, mi risponde: “Quando mi hai raccontato del fulmine e dell’angelo caduto”. “Davvero?”, gli dico stupita. Dentro di me, immediatamente un moto di delusione. Le parole di Nabil confermano la netta sensazione che la visita sia stata un fallimento.
A qualche mese di distanza rifletto ancora su quelle parole, e cerco di darmi delle risposte. Con tutte le incredibili, magnificenti cose contenute in quel museo…possibile che il mio breve racconto a questo bimbo che tenevo per mano sia stato per lui il maggior motivo di gioia?

Durante il seminario con Emilia all’OMI di Torino, ho capito. La relazione affettiva, il tenersi per mano, il racconto che ti lascia libero di immaginare aveva vinto sul caleidoscopico, rutilante percorso di stimoli in cui una brava, ma sconosciuta guida cercava di condurti.
I bimbi del nostro doposcuola hanno poco, pochi giochi elettronici, niente playstation, niente computer, solo qualche ora di televisione. Ma hanno la grande ricchezza di un cortile protetto in cui si può giocare, gatti della colonia felina da inseguire, cercare con timore di prendere in braccio per una carezza, anche se il gatto si divincola e non ne vuole sapere. Come educatori e volontari cercheremo d’ora in poi, in ogni modo, di preservare questo tanto di semplicità e immaginazione.


Chiara