Nonno, Insegnami il cielo...

Nella scuola non ho mai avuto la possibilità nè il coraggio di chiedere ad un insegnante nulla. Non era possibile fare domande, quello che ti offrivano era un sapere preconfezionato che procedeva per tappe stabilite.
Ma qualcuno che mi ha "insegnato il cielo", come dice la filastrocca del post precedente, io l'ho trovato: mio nonno.
Mio nonno era analfabeta, aveva imparato solo da adulto a mettere la sua firma. Lo vedevi tracciare con molta fatica le lettere del suo nome copiando da un foglio che la nonna gli metteva sotto gli occhi. Il suo cognome era Gulisano come il mio, ma lui faticava a riprodurre la G maiuscola e chiedeva a mia nonna se poteva scrivere solo Ulisano... Discutevano su questo animatamente, mia nonna insisteva e lui si adeguava.
Eppure quest'uomo sapeva tutto delle stagioni, delle semine, di  animali, di campi, di fiori, delle fasi lunari. La sua cultura non veniva dai libri, nasceva dalla vita, dall'essere stato sempre a contatto con la natura che rispettava e onorava.
Quando, nelle sere d'estate, ci si riuniva nel cortile della casa del nonno, mentre mio papà, i miei zii e la nonna parlavano del raccolto, della trebbiatura, del prezzo del grano, della fondiaria e delle tasse, lui ci faceva sedere intorno a sè, i più piccoli in braccio e ci "insegnava il cielo.
Ci faceva osservare le stelle e ci diceva il nome di tutte le costellazioni, il periodo in cui avremmo potuto vederle ed il suo racconto per noi era magico. Rimanevamo tutti incantati, anche i più piccoli stavano in silenzio come affascinati e non facevano capricci. I nostri occhi erano occhi spalancati come catturati da un cielo che le sue parole rendeva più vicino e familiare, ma nello stesso tempo misterioso e magico.
Io tornavo a casa con le stelle negli occhi, ma non portavo solo loro, portavo anche l'affetto e la passione che lui ci aveva trasmesso.
Lui era un gran maestro, un maestro di vita e un grande narratore. Mai ho potuto dimenticare quelle serate d'estate.
"Mio nonno - dice Josè Saramago - era un uomo uguale a molti altri di questa terra, di questo mondo, senza opportunità, forse un Einstein perduto sotto una spessa coltre di impossibilità, un filosofo (chissà), un grande scrittore analfabeta. Qualcosa di serio che non potè mai essere".
Vecchio e stanco, cammina sotto la pioggia, ostinato e silenzioso, come chi compie un destino che nulla può cambiare".
Saramago vedrà sempre in quel nonno "un uomo saggio, silenzioso ed introverso, che apre la bocca solo per dire parole importanti, quelle che contano".

Forse la scuola dovrebbe prendere esempio con più umiltà da questi grandi maestri della vita, che sapevano trasmettere il desiderio di conoscere e imparare.